della Sassella
(Prof.ssa Aurora Carugo)
932
Un'antica leggenda vuole che in seguito ad una apparizione della Madonna fosse stata costruita sul
fondovalle una chiesetta a Lei dedicata, trasportata poi miracolosamente di
notte sullo sperone roccioso della Sassella.
I recenti sondaggi archeologici ritengono plausibile una
datazione altomedievale della chiesa.
1476
Nel recettario dell'arciprete di Sondrio Pietro Andriani
del 1476 si trova che il custode di S.Maria della
Sassella deve dare ogni anno nella festa dell'Annunciazione della Beata Vergine
Maria, al posto del pranzo, lire sedici oltre l'oblazione. L'arciprete era
solito in tale festività, che ricordava probabilmente l'intitolazione della
chiesa, cantarvi messa.
1482
Fonti documentarie attestano che la chiesa rurale di
S.Maria della Sassella era unita giuridicamente alla
chiesa-ospedale di S.Antonio di Sondrio. Infatti il 20
febbraio di tale anno viene nominato cappellano di dette chiese il sac. Enrico
de Lopia, in seguito alla rinuncia del sac. Andriolo de Valeris di Campo.
Dal documento, rogato dal notaio Antonio Malacrida, si
evince che la scelta fu fatta da Giovanni fu
Castellino Beccaria, cui spettava il diritto di patronato, esercitato un tempo,
per lunga ed antica consuetudine, dalla famiglia Capitanei.
I Capitanei si erano estinti nel 1436 e del loro feudo
ereditario furono investiti i Beccaria. Ciò conferma
l'antichità della chiesa, forse già costruita nel Trecento, se non prima.
L'impianto quattrocentesco, che ancora si rileva
nell'attuale struttura, presentava un'unica navata divisa in tre campate
coperte da volte a crociera e conclusa da un'abside semicircolare. La chiesa
era sorretta a levante da un muro poggiante su due archi e a ponente dalla
roccia.
Sulla facciata, decorata da rosone in seguito nascosto dal
porticato, si apriva l'ingresso principale con spiovente. La chiesa conserva all'interno tracce di decorazione dell'epoca.
Il bel portale in marmo bianco,
con motivo a tortiglione che disegna un arco ogivale, potrebbe risalire al
Quattrocento, mentre il bassorilievo con la Natività, giustapposizione di pezzi
non coerenti, dovrebbe essere di epoca posteriore.
1489-1490
II 25 luglio 1489 il famoso architetto Amadeo giunse a
Morbegno per il progetto ed il preventivo di spesa della sistemazione delle
strade di Desco e della Sassella. Il 27 gennaio 1490 vennero appaltati i lavori.
1511
Il 14 aprile venne stipulato il
contratto per l'esecuzione degli affreschi di Andrea De Passeris.
1521
Il 2 febbraio fu stipulato dal notaio Luigi Ripa l'atto di
consacrazione della chiesa, fatta da Francesco ladino, vescovo di Lodi, su
licenza del vescovo di Como. In tale circostanza vennero
concessi cento giorni di indulgenza e quaranta nel giorno della dedicazione
della chiesa. Dal documento si deduce che l'edificio era
stato da poco ampliato e abbellito.
1534
Venne dipinta la pala d'altare
raffigurante la Natività dal bresciano Vincenzo de Barberis. Essa venne a
coprire l'affresco dell'Annunciazione eseguito anni prima, forse dal De
Passeris.
1551
Venne rogata il 21 novembre dal notaio
Tomaso Lalio una transazione mediante la quale i custodi della chiesa si
impegnarono a dare all'arciprete di Sondrio Bartolomeo Salis mezza brenta di
vino al posto dei sedici soldi che un tempo si era soliti dare in occasione
della festa dell'Annunciazione.
L'arciprete, in cambio, si assumeva l'onere di andare o
mandare con la processione a cantarvi messa nella suddetta festa, in perpetuo.
L'arciprete Gio.Antonio Paravicini (1588-1659) ricorda nei
suoi scritti come la chiesa della Sassella fosse tappa
di diverse processioni.
Oltre a quella dell'Annunciazione rammenta quella di
S.Marco, che dalla Sassella proseguiva verso le chiese
di Castione e vedeva il ritorno dalla montagna di Triangia. Nel 1636
l'arciprete ritenne opportuno invertire il percorso, partendo dalla strada
"delle selve" e "ricondurmi per le vigne".
Questa processione veniva detta
dal volgo degli ubriachi, perché" come longa, calda e faticosa, è un
incentivo al vino".
La chiesa della Sassella era
anche meta di una delle due processioni delle rogazioni maggiori, che si teneva
di martedì, salendo per la via della quadra del Dosso, al primo sentiero sotto
la fontana di Riatti, a sinistra, si attraversava le vigne della Sassella, e
calando sopra Triasso e quindi sopra la chiesa della Sassella, vi si diceva
messa e si ritornava per la via Valeriana.
1682-1685
Mentre era arciprete di Sondrio Antonio
Sassi fu costruito l'originale campanile a base pentagonale e venne tamponato
il rosone addossando l'attuale porticato alla
facciata.
La campana venne commissionata ai
mastri campanari Antonio e Nicola Comolli, fu acquistata a Como nel 1683 per
lire 2780 in moneta di Milano, escluse le spese di viaggio. Nello stesso anno venne abbattuto l'altare cinquecentesco per ospitare una
grande ancona lignea dipinta e ornata di statue, opera dell'intagliatore
trentino Michele Cogoli.
Venne posizionata alla distanza di due
braccia dalla parete dell'abside, per consentire di vedere l'affresco
dell'Annunciazione.
1687
Venne indorata l'ancona per il costo di
lire 896 e pagati muratori e scalpellini per la predella.
L'esecuzione della lapide esterna con la scritta per le
elemosine viene a costare lire 12. Si acquista polvere per mine e si portano
sassi per la costruzione della sacrestia.
1688
Si registrano spese per un confessionale e ancora polvere
da mina per i sassi destinati ai gradini e al muro antistante la chiesa. Le
fonti citano il nome di mastro Antonio Proh.
G.Battista Sertoli, rettore dal 1685 al 1708
, provvide a far allargare la strada che da Sondrio portava alla Sassella.
1709-1713
Divenuto arciprete, successe al Sertoli nel rettorato suo
fratello Francesco Saverio, che completò la costruzione della sagrestia
dotandola di arredo e oggetti liturgici e dando inizio
nel 1713 alla costruzione delle 15 cappelle che avrebbero dovuto costituire un
Sacro Monte lungo la strada della Sassella. Ne furono costruite solo sei.
1715-1718
Con lo sfondamento della parete destra, fra i due pilastri
reggenti gli archi della seconda campata e quello
trionfale, venne ricavata la cappella del Carmine, in cui fu trasportata
l'ancona del Cogoli.
Alla parete absidale venne
addossata l'ancona marmorea, tuttora esistente, con due tortiglioni in marmo
nero e cimasa con due grandi riccioli laterali. E’ opera del ticinese
G.Battista Adamo, che la realizzò, con contratto stipulato il 26 settembre
1716, per il prezzo di 300 talleri compresa la
fornitura del marmo. Essa venne a nascondere parte dei dipinti realizzati dal
De Passeris.
1722
II canonico Francesco Saverio Sertoli pensò di far
costruire davanti alla chiesa, meta di pellegrinaggi, il piazzale tuttora
esistente.
1728
II 22 ottobre venne acquistata la
campana maggiore, consacrata dall'abate DAmbrogio Rattazzi dei monaci
cistercensi di S. Ambrogio di Milano con il nome di S.Maria e di S.Antonio.
1731
Al capomastro Giacomo Cometti era stato chiesto di
progettare davanti alla chiesa una grande costruzione
con magazzini e botteghe, ma alla fine furono realizzate solo le grandi arcate
che sorreggono il sagrato. Il piazzale fu concluso nel
1741.
1736
Una grande tela dipinta come ex
voto ricorda il salvataggio di un gruppo di naufraghi in seguito al distacco
del traghetto che li trasportava da una riva all'altra in Albosaggia.
1745-1753
II rettore Carlo Scherini fece lastricare il portico ed edificare la costruzione
attigua alla sacrestia.
1757
II rettore Giuseppe Marlianici fece fabbricare la
balaustra, la predella dell'altare maggiore e il deposito della Santa
Croce; acquistò 4 candelabri d'argento,
la croce grande e la cassa per le reliquie.
Fece inoltre costruire una stalla perché gli animali non
dovessero più trovare riparo sotto il portico col maltempo.
(Dott.ssa
Francesca Bormetti)
Sul
santuario della Beata Vergine Annunciata, meglio noto come Santuario della
Beata Vergine della Sassella, ancora non si dispone di
uno studio monografico.
Chi voglia
reperire notizie su questo importante monumento deve perciò attingere a una
serie di pubblicazioni per le quali rimando alla bibliografia; più o meno tutti
coloro che si sono occupati della Sassella hanno comunque consultato un
manoscritto conservato presso l’archivio parrocchiale di Sondrio scritto sul
finire del Settecento dal sacerdote Luigi Casati, rettore del Santuario dal
1791 al 1807. Il manoscritto si intitola Recettario ossia Libro Maestro della
Venerabile Chiesa di Santa Maria detta della Sassella di Sondrio e riporta
importanti notizie sulla nostra chiesa: ampio ad esempio il riferimento alla
leggenda della fondazione, ma il manoscritto ripercorre anche alcune importanti
tappe della vicenda artistica dell’edificio.
Altro testo di riferimento è
quello pubblicato nel 1930 da Giuseppe Barelli intitolato Bassorilievi ed affreschi nel Santuario della
Sassella in Sondrio: come già si intuisce dal titolo, questo studio
è incentrato sul portale marmoreo e sul ciclo pittorico dell’abside anche se,
sulla base del testo del Casati, il Barelli tenta comunque una lettura
d’insieme dell’edificio. E’ poi il caso di ricordare gli scritti di Giovan
Battista Gianoli e di Antonio Giussani, cui si devono
rispettivamente una estesa trattazione conservata in dattiloscritto presso la
Biblioteca Civica Pio Rajna di Sondrio e una dotta comunicazione in merito al
rinvenimento della scena dell’Annunciazione dietro la pala di Vincenzo de
Barberis, a quel tempo attribuita però a Gaudenzio Ferrari.
Il Santuario figura fra i
monumenti restaurati con la “Legge Valtellina” e, per affrontare con maggior
consapevolezza la fase progettuale, la Dott.ssa Angela Dell’Oca, direttrice del
Museo di Sondrio, ha predisposto un’accurata relazione storica che riassume i
dati essenziali sulla chiesa. Trattandosi di materiale non pubblicato, non è
però facilmente reperibile, così come non lo è una ricerca eseguita da alcuni
studenti (bonfadini,
boracchia, Bossi) per la facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nel 1997.
Per quanto concerne le cappelle
dei Misteri del Rosario poste lungo il sentiero un
tempo percorso dai pellegrini, si deve far riferimento agli approfonditi studi
del compianto Battista Leoni. Nulla invece è ancora stato scritto in merito
agli importantissimi rinvenimenti archeologici emersi in occasione del recente
restauro.
La bibliografia si allunga quando si
viene a parlare degli apparati decorativi, tuttavia, non potendo citare tutti i
contributi, mi sembra utile e necessario un riferimento agli studi di Simonetta
Coppa apparsi sui volumi della collana Civiltà
artistica in Valtellina e Valchiavenna, editi dal Credito Valtellinese, e
sul volume Cariplo Pittura in Alto Lario
e in Valtellina, opere comprensive anche di puntuali schede biografiche
relative agli artisti attivi presso il nostro Santuario.
Tra i più recenti contributi di
sintesi ricordo infine quello redatto da chi scrive
nell’ambito del volume Chiese torri
castelli palazzi. I 62 monumenti della Legge Valtellina (dove per una
svista l’altare laterale è stato attribuito a Giovan Battista del Piaz e a
Michele Cogoli, mentre come è noto fu Giovan Battista
Zotti a collaborare con il Cogoli) e quello a firma di Eugenia Bianchi in calce
al volume Il Medioevo e il primo
Cinquecento.
L’origine di questa Chiesa si riconosce dall’anno 932 di nostra
salute, in cui Maria Vergine apparve all’Arciprete lagnandosi perché la
Valtellina, già dichiarata sua diletta Provincia, non le avesse peranche alzato
alcun tempio in suo onore, bramandone uno nel luogo detto la
Sassella. In vista di tale Apparizione il buon Arciprete elesse due
fabricieri ed apparecchiato il materiale,
già disponevasi di piantare le fondamenta nel piano vicino al fiume
Adda, per dove passava la strada di Valle, quand’ecco che in una notte
portentosamente trovossi trasportato il materiale sopra il colle vicino, ed
apparendo di bel novo Maria Vergine all’Arciprete, ed alli fabbriceri avvisolli
che il luogo da lei destinato per il suo tempio era quello, ove la mattina
seguente acrebbero ritrovato il materiale.
Divulgossi questo prodiggio
nella Valtellina, ma eziandio nelle vicine provincie ,
dalle quali a folla venivano per divozione con tali abbondanti elemosine, che
in soli tre anni fu completamente ridotta la Chiesa a perfezione nel luogo ove
di presente si vede.
Sono
queste le parole usate dal Casati nel riferire la tradizione
secondo cui la chiesa della Sassella sarebbe stata fondata nell’anno 932, dopo
che la Madonna era apparsa all’arciprete di Sondrio lamentandosi perché in
valle non era ancora stato costruito un tempio in suo onore. Sempre secondo la
tradizione, la Madonna avrebbe indicato con precisione il luogo dove far
sorgere la chiesa, spostando nottetempo i materiali da costruzione che i
fabbricieri avevano predisposto sul fondovalle, dove si era pensato di erigere
l’edificio.
Impossibile dire se l’episodio tramandato dalla
tradizione sia realmente accaduto e se la Madonna sia veramente apparsa
all’arciprete, del resto non è questo che importa in questa sede. Ciò che importa registrare è l’esistenza di una tradizione che fa
risalire la fondazione della Sassella a una data
piuttosto alta.
Il racconto, inoltre, coinvolge e
invita ad immaginare l’emozione provata dall’arciprete e dai fabbricieri nel
constatare che i materiali da costruzione erano stati
miracolosamente trasportati altrove. Non si pensi però che un racconto di
questo tipo riguardi solo la Sassella: la costruzione
dei santuari spesso prende avvio da qualche accadimento miracoloso, e questo
vale anche per i Santuari di Valtellina e Valchiavenna.
Prima
del restauro nulla autorizzava a credere che la chiesa della
Sassella avesse origine medioevale, come la tradizione vuole, e
l’edificio nel quale ci troviamo veniva fatto risalire al XV secolo, il che
sostanzialmente corrisponde al vero. Con il recente restauro sono però emersi
dati sufficienti per attestare con certezza l’antica origine del santuario della Sassella, anche se qualcosa di più preciso si potrà
sapere solo quando saranno resi pubblici i dati emersi con lo scavo
archeologico condotto sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica di
Milano.
Osservazioni
come queste si possono fare per moltissime altre chiese valtellinesi: del resto
gli edifici religiosi non venivano costruiti per
rimanere nascosti alla vista, ma per essere visibili anche da lontano e il
risultato è quel che tutti possiamo vedere: un paesaggio caratterizzato dalla
presenza del sacro: chiese grandi e piccole, cappelle, crocefissi e affreschi
devozionali si trovano infatti in gran numero sulle pendici delle nostre
montagne.
Oltre alla posizione favorevole e panoramica, nel caso della
Sassella bisogna però rilevare come l’edificio sorga lungo una strada
storica che conduceva, e ancora conduce, verso Sondrio. Difficile dire se si
tratti proprio della Via Valeriana, antico tracciato stradale che, evitando il
fondovalle e privilegiando il versante soleggiato,
percorreva l’intera Valtellina e attraversava i centri abitati più importanti,
compreso Sondrio. E’ tuttavia significativo che
proprio accanto alla chiesa siano stati ritrovati due antichi piani stradali:
il più superficiale è stato riportato in luce, quello più profondo e più antico
– all’indomani del ritrovamento si è parlato di epoca romana - è invece
visibile solo per un brevissimo tratto. I dati di scavo sono però ancora in
fase di studio ed è quindi prudente attenderne gli esiti.
La stessa prudenza si deve avere
accennando ai ritrovamenti effettuati sotto il pavimento della navata. Quel che
emerge con certezza è l’esistenza sul posto di un edificio più antico rispetto
alla chiesa attuale. E’ stata inoltre rinvenuta una
struttura in pietra che potrebbe forse essere un’antica entrata, stando a
quanto è stato scritto su alcuni giornali all’indomani delle scoperte. Tuttavia, dal momento che la Dott.ssa Valeria Mariotti della
Soprintendenza Archeologica e i suoi collaboratori stanno studiando i dati
emersi con lo scavo, è bene attendere questi risultati ed evitare di formulare
ipotesi fantasiose.
La struttura tre-quattrocentesca e le successive
trasformazioni architettoniche
Ma
veniamo ora all’edificio nel quale ci troviamo e cominciamo col
dire che non sappiamo quando fu costruito, quando quindi la vecchia chiesa fu
abbattuta per far posto alla nuova.
L’osservazione
della struttura architettonica e degli archi ogivali che suddividono l’aula in
tre campate ha fatto pensare al XV secolo (Giovan
Battista Gianoli parlava della seconda metà), ma nessuno è stato in grado di
essere più preciso. Nella lunetta sinistra della seconda campata è però venuta alla luce una decorazione che farebbe pensare che
questo edificio possa essere stato costruito prima del 1437. La decorazione
include infatti un’iscrizione che comprende il nome
dei Capitanei, e questo induce a formulare un’ipotesi che andrà però meglio
circostanziata.
Gian Antonio Paravicini, arciprete di Sondrio all’inizio del XVII e autore
di un importante studio intitolato Stato
della pieve di Sondrio, informa infatti di come la chiesa della Sassella
fosse unita giuridicamente alla chiesa dell’ospedale di Sant’Antonio, di
patronato della famiglia Capitanei, feudatari del vescovo di Como, e di come i
Capitanei avessero quindi il patronato anche sulla Sassella.
Sappiamo inoltre che nel 1437 ai
Capitanei, che si erano estinti, subentrarono i Beccaria, e che ai Beccaria
passò anche il patronato sulla Sassella. La presenza
del nome dei Capitanei sulla lunetta suggerisce quindi di datare la chiesa ad
un’epoca anteriore al 1437. La prudenza è però d’obbligo, e solo una attenta lettura dell’iscrizione potrà contribuire a far
chiarezza sulla questione.
L’edificio, composto da un’unica navata
suddivisa in tre campate coperte da volte a crociera e da un’abside
semicircolare, poggia in gran parte sulla nuda roccia, il che ha creato nel
tempo non pochi problemi a causa dell’umidità. Il recente restauro dovrebbe
però aver ovviato al problema.
L’aula, piuttosto alta, un tempo riceveva luce non solo
dalle strette monofore del fianco meridionale, ma anche da un grande rosone
centrale ora nascosto dal pronao addossato in un secondo momento alla bella
facciata a capanna. Dal sottotetto del pronao è però ancora visibile una parte
del rosone che presentava una decorazione a bande colorate analoga a quella che
interessava gli archi interni, come si può osservare su uno degli archi, dove
parte della decorazione rinascimentale è stata sacrificata per documentare
l’esistenza di questa più antica decorazione.
Esternamente la struttura è molto
semplice e le decorazioni si limitano a sottolineare
il contorno delle finestre e il sottogronda; sulla fiancata verso valle compare
però un affresco con San Cristoforo
rappresentato, come di consuetudine, in grandi dimensioni, in modo da poter
essere visto anche da lontano. San Cristoforo era infatti
considerato il santo protettore dei viandanti.
I
fianchi sono ritmati da slanciate lesene che consentono di indovinare l’interna
scansione in tre campate, la facciata è a capanna.
La chiesa era senz’altro più ricca
al suo interno, purtroppo però i rifacimenti attuati nel corso dei secoli hanno
portato alla perdita di gran parte degli intonaci originali.
Almeno una decorazione è però
sopravvissuta, e mi riferisco agli affreschi della già citata lunetta, dove
sembra di poter individuare una Madonna
Addolorata trafitta da sette spade e circondata da 7 tondi molto sciupati
con la rappresentazione dei Sette Dolori della Vergine. Il dipinto è appena
stato scoperto e nessuno studioso ha ancora avuto la possibilità di esaminarlo
e certo non possiamo farlo noi in questa occasione.
Tuttavia può essere interessante ricordare che la festività religiosa dei Sette
Dolori della Vergine fu istituita dal Sinodo di Colonia del 1423: chissà che questo elemento non possa in qualche modo essere messo in
relazione a quest’opera.
Tutto porta a credere che un secondo affresco interessasse
la parete destra della terza campata, vale a dire quella demolita verso il 1715
per consentire la costruzione della cappella. Sotto il pavimento, proprio
davanti alla cappella, sono stati infatti rinvenuti
frammenti d’intonaco affrescato evidentemente usati come riempitivo.
Il luogo di ritrovamento consente
di ipotizzare che i frammenti siano da riferire alla parete abbattuta: quando
una parte di edificio veniva demolita non era,
infatti, cosa inusuale utilizzare i resti come materiale riempitivo, sia per
economizzare sui materiali, sia per rispetto nei confronti delle decorazioni
sacre. Allo stato attuale delle ricerche non sono però noti documenti o fonti
letterarie che descrivano la situazione precedente al
1715; dunque non è dato sapere su base documentaria quante scene fossero
raffigurate sulla parete in questione e se questa fosse totalmente o solo
parzialmente affrescata. Le dimensioni dei frammenti sono mediamente piuttosto
ridotte, il che certo non facilita la ricerca. A questo si aggiunga che i brani
ritrovati sono certamente solo una parte di quelli che componevano la
decorazione della parete: nell’insieme i frammenti sono
infatti troppo pochi per pensare che non ne siano andati perduti. Su
alcuni frammenti ci sono dei visi, in un altro si vede il braccio di una
persona crocefissa, e questo farebbe pensare a una
Crocifissione, ad ogni modo, dal momento che i frammenti sono stati rinvenuti
sotto del pavimento, bisognerà aspettare che la Soprintendenza metta mano allo
studio di questi materiali, prima di riuscire a sapere qualcosa in merito.
Naturalmente
potevano esserci anche altri dipinti di cui ignoriamo l’esistenza, ad ogni modo
sembra di poter escludere che la chiesa fosse decorata
da un ciclo unitario di affreschi, anche perché i frammenti rinvenuti sotto il
pavimento sembrano non avere nulla a che fare con l’affresco scoperto sulla
lunetta della navata.
Penso piuttosto ad una chiesa
semplice, con intonaci chiari e con qualche dipinto a carattere devozionale e con gli archi segnati da bande colorate, un
po’ come quelle che ornano i sottarchi del convento di Sant’Antonio a Morbegno
o il rosone della chiesa di San Giorgio a Montagna.
Ma veniamo al
portale, la cui presenza certamente bastava a qualificare la facciata.
Nel famoso manoscritto del Casati si dice che il
portale fu voluto da uno dei due arcipreti Andriani che, uno dopo l’altro,
ressero l’Arcipretura di Sondrio nella seconda metà del Quattrocento, e tutti
ritengono più probabile che si tratti di Gian Giacomo Andriani (1482-1520). Il
portale non è però omogeneo e si ha l’impressione che il bassorilievo della
lunetta possa essere posteriore rispetto al resto della porta. L’arco a sesto
acuto con la colonnina a tortiglione si presta infatti
ad un confronto con il portale della chiesa di San Maurizio di Ponte in
Valtellina, datato 1460, con il portale della chiesa di Sant’Eufemia di Teglio
e con il perduto portale della Collegiata di Sondrio, alcune parti del quale
sono conservate presso il Museo di Sondrio. Il bassorilievo con l’Adorazione di Gesù Bambino sembra invece
eseguito in un secondo momento.
Ma questa è solo
una prima considerazione. L’altra riguarda il bassorilievo che risulta composto da tre pezzi non omogenei. Quelli laterali
seguono la curvatura dell’arco e potrebbero essere
stati eseguiti per questa lunetta, ma quello centrale, di qualità più alta,
potrebbe essere stato scolpito con altra destinazione ed essere poi stato
inserito dove ora lo vediamo.
Il portale è stato in passato
riferito ai Rodari, celebri scultori attivi fra l’altro a Ponte, a Mazzo e al
Santuario di Tirano, ma la struttura ogivale e il torciglione sono elementi
estranei al loro linguaggio, mentre potrebbe forse essere ricondotto a loro, o
a maestri della loro cerchia, proprio il frammento centrale della lunetta,
dallo sfondo architettonico già pienamente rinascimentale.
La questione del portale rimane insomma ancora oscura, tuttavia il pezzo
centrale del bassorilievo sembra condurre al periodo fra Quattro e Cinquecento,
quando probabilmente cominciò a maturare anche l’idea di impreziosire
l’edificio con affreschi che sottolineassero la sua
dedicazione mariana.
Il periodo era favorevole. I
decenni a cavallo fra i due secoli furono
particolarmente felici per l’arte valtellinese perché in quel periodo furono
chiamati a lavorare nelle nostre zone scultori,
pittori e intagliatori provenienti dal Milanese, dal Comasco, dal Bresciano
che, con le loro opere aggiornate rispetto a quanto veniva eseguito nei
maggiori centri di produzione artistica, portarono anche nelle nostre zone un
po’ più periferiche il linguaggio rinascimentale nelle sue molte declinazioni. La Sassella non fa eccezione: per eseguire la decorazione
del presbiterio nel 1513 ci si rivolse al pittore Andrea de Passeris, nativo di
Torno, un piccolo paese vicino a Como.
Fino
a qualche tempo fa si è pensato che il De Passeris avesse anche disegnato la
splendida vetrata policroma dell’abside, raro esempio di vetrata rinascimentale
in Valtellina. Recenti studi assegnano però l’opera a
un maestro vetraio appartenente ad una bottega molto attiva a Como in quel
periodo, ma su questo avremo modo di tornare.
L’edificio, rinnovato nel suo aspetto e forse nella sua struttura
(nell’atto di consacrazione è scritto si fa riferimento a
un ampliamento: che l’abside sia stata ricostruita?), veniva consacrato nel
1521 da Francesco Ladino, vescovo di Laodicea, su licenza del vescovo di Como.
L’interesse per la chiesa rimase comunque molto vivo:
altre importanti opere d’arte sarebbero infatti state commissionate negli anni
seguenti.
Nel 1534 fu affidata a Vincenzo De Barberis l’esecuzione della pala
d’altare raffigurante la Natività, ora conservata a Sondrio nella chiesa della
Beata Vergine del Rosario. Inoltre, in un epoca imprecisata,
anche la facciata fu interessata da un intervento decorativo: perlustrando il
sottotetto del pronao, oltre al rosone, si scopre infatti quel che resta dei
dipinti che interessavano il fronte principale dell’edificio.
La chiesa fu trasformata nuovamente in un cantiere negli anni ’80 del
Seicento.
Fra
il 1682 e il 1685, per rendere più monumentale l’accesso, fu costruito il bel
portico a tre arcate rette da colonne in pietra. La costruzione del portico
creò uno spazio che consentiva ai fedeli di sostare prima e dopo le
celebrazioni, e fra questi immaginiamo ci fossero
anche gli autori delle scritte che il restauro ha portato alla luce sulla
facciata della chiesa. Si tratta di scritte a carattere devozionale,
lasciate, così almeno par di capire, da fedeli in procinto di affrontare la via
per Roma in occasione del Giubileo.
Allo stesso giro d’anni risale
anche la costruzione della sagrestia e del campanile, curioso per la sua
sezione pentagonale.
Risale infine a quegli anni la
costruzione della buca per le elemosine con la lapide esterna che reca la
scritta:
O DIVOTI DI MARIA / CHE NEL
PASSARE / IMPIEGATE LA LINGVA / IN SALVTARLA / STENDETE QVA LA MANO / IN
PORGERE AD HONORE D’ESSA / QVALCH’ELEMOSINA
Gli ultimi interventi di una certa importanza risalgono alla prima metà
del Settecento. Per iniziativa di Francesco Saverio Sertoli, rettore della Sassella e fratello dell’arciprete di Sondrio, nel
1713 fu innanzitutto completata la sagrestia, che venne anche arredata. Fu
inoltre avviata la costruzione della cappella laterale che comportò la
demolizione della parete che molto probabilmente interessata dall’affresco, i
cui frammenti sono stati rinvenuti sotto il pavimento.
Nel frattempo maturava l’idea di costruire 15 cappelle, che avrebbero
trasformato la Sassella in un Sacro Monte, e di costruire sul piazzale davanti
al santuario un grande edificio di servizio che sarebbe servito per le fiere
commerciali.
Entrambi i progetti non ebbero
però fortuna. Per quanto riguarda le cappelle, per
ragioni economiche ne furono realizzate solo alcune, mentre il grande edificio
per le fiere rimase sulla carta. E’ per questa ragione che nel 1745 il nuovo
rettore del Santuario, Carlo Scherini, oltre a far lastricare il portico,
incaricò il capomastro ticinese Giacomo Cometti di addossare al retro della
chiesa un nuovo corpo di fabbrica: i nuovi locali sarebbero serviti per far
osteria, per confessare, insomma per assolvere alle
necessità di un santuario metà di pellegrinaggi.
Risalgono infine al 1757 la
balaustra e il deposito della Santa Croce.
La Madonna
in trono sulla parasta
Su una delle paraste di sinistra è
stato rinvenuto un affresco che raffigura una Madonna
in trono col Bambino. Il Bambino è in piedi sul grembo della Madonna, indossa una elegante veste azzurra ed è colto nell’atto di benedire.
La Madonna, dal viso dolcissimo, siede invece su un trono dalle fattezze
rinascimentali; all’epoca rinascimentale conduce anche la decorazione a grottesca
su fondo giallo ocra.
Non si conosce il nome del pittore
chiamato ad eseguire questo affresco, non sembra però
possa trattarsi di Andrea De Passeris, attivo nel presbiterio. Ad ogni modo il
dipinto insiste sul tema mariano e attesta come l’epoca umanistico
rinascimentale sia stata un’epoca particolarmente felice per il
santuario della Sassella.
Il ciclo
absidale di Andrea de Passeris
Andrea De Passeris è un pittore
nativo di Torno, un piccolo paese nelle immediate vicinanze di Como. Il suo
linguaggio era aggiornato rispetto alle novità apportate alla cultura
figurativa da Bramante, Zenale e dagli altri maestri bramanteschi. La sua
presenza in Valtellina fu perciò molto importante perché contribuì a diffondere
le novità che da tempo circolavano nei principali
centri di produzione artistica in Lombardia. Il fatto poi che il De Passeris sia comasco offre l’occasione per ricordare come il cantiere
del Duomo di Como svolse un ruolo di primo piano nell’elaborazione del
linguaggio rinascimentale e nella sua diffusione nei territori periferici della
diocesi tramite le maestranze gravitanti attorno a quella grande fabbrica.
Andrea
De Passeris qualche anno prima di essere chiamato a
lavorare in questa chiesa (1511) aveva lavorato a Grosio, nella chiesa di San
Giorgio, a quel tempo la parrocchiale del paese. Il ciclo di Grosio è purtroppo
frammentario, tuttavia emerge chiaramente come l’artista fosse in quegli anni
suggestionato dalla pittura ferrarese, suggesioni che sono ormai stemperate
negli affreschi della Sassella.
Ma cosa
rappresentano questi affreschi? Trattandosi di una chiesa mariana, le
raffigurazioni ruotano intorno alla figura della Madonna, anche se su tutto
domina l’imponente figura del Padre Eterno benedicente entro mandorla, secondo
quella disposizione gerarchica di cui si già avete
sentito parlare durante la prima lezione.
Intorno alla mandorla stanno i
quattro Evangelisti, segue una fascia con busti di Profeti e Sibille, mentre
nella parte bassa sono rappresentate scene di vita
mariana. Da sinistra troviamo la Nascita
della Vergine, lo Sposalizio, l’Annunciazione, l’Adorazione dei Pastori e la Presentazione
al tempio. La posizione centrale della scena dell’Annunciazione
dipende probabilmente dal fatto che la chiesa pare fosse
dedicata al mistero dell’Annunciazione, dato che fino al 1476 l’arciprete di
Sondrio era solito cantar messa nel giorno dell’Annunciazione.
Il sottarco è risolto, come in
genere avviene, con una sequenza di riquadri con i busti dei dodici Apostoli.
Santi e profeti interessano anche i sottarchi dell’aula, uno dei quali sembra
essere stato più di altri rimaneggiato in epoca successiva.
La vetrata
Il
presbiterio, che tutti conoscono per gli affreschi di Andrea
De Passeris, conserva anche un altro gioiello d’arte: una bella vetrata raffigurante
l’Adorazione di Gesù Bambino databile
al 1520 circa e comunque certamente realizzata a completamento della
decorazione pittorica del presbiterio.
Si tratta di una vetrata di piccole dimensioni, quadrata e
incorniciata, come in genere accadeva, da una fascia decorativa.
In
passato è stata attribuita ad Andrea De Passeris, in quanto
l’errata lettura di alcuni documenti aveva fatto credere che egli fosse il
maggior pittore su vetro in area comasca. Ora però, sulla
base di un confronti con altre opere dell’epoca, la nostra vetrata viene
riferita a Domenico Cazzanore da Blevio o tutt’al più a un maestro della sua
cerchia, tale Maestro da Poschiavo.
Domenico da Blevio fu a lungo
operoso presso il Duomo di Como, che a quel tempo era un cantiere di riferimento
a cui guardava l’intera Diocesi. Purtroppo le vetrate del Duomo comasco non si
sono conservate; in compenso sono giunte sino a noi alcune delle vetrate del
santuario dell’Assunta di Morbegno, realizzate
all’inizio del Cinquecento, e le due piccole vetrate della chiesa di San
Giorgio a Grosio, raffiguranti San
Giacomo Maggiore e San Giorgio,
rari esempi di un’ampia produzione uscita da una bottega che esercitò grande
influenza sull’arte vetraria del territorio. Dalla sua bottega escono anche le
vetrate della chiesa di Buglio in Monte, ma purtroppo molte vetrate, di cui si
ha notizia dai documenti, sono andate perdute, il che rende ancora più preziosa
quella che si è fortunatamente conservata alla Sassella;
oltretutto, osservandola, possiamo immaginare come dovessero essere belle le
chiese con questo tipo di capolavori alle finestre.
Gli altari
L’altar maggiore, realizzato in
marmi policromi, fu costruito dal ticinese Giovan Battista Adamo nel 1716 in
sostituzione del vecchio altare che fu trasferito nella cappella laterale
appena terminata. Originariamente si trovava al centro del presbiterio, ma nel
1764 per ragioni si stabilità dovette essere addossato
alla parete di fondo, a discapito della scena dell’Annunciazione che rimase a lungo nascosta alla vista.
Il nostro Adamo è probabilmente
identificabile con lo scultore che nel 1716 scolpisce il bel lavandino in marmo della sagrestia della collegiata di Morbegno e la
balaustra dell’altar maggiore. Si tratta quindi di un esponente di una famiglia
di artisti ticinesi lungamente attivi nella nostra
zona.
L’altare che si trova
nella cappella della Madonna del Carmine fu l’altare
maggiore del Santuario dal 1683-84, epoca della costruzione, al 1716, anno del
trasferimento nella cappella laterale.
Nel 1683 per realizzarlo i fabbricieri si rivolsero al trentino
Michele Cogoli. Originario della Val di Sole, il Cogoli era in quel momento uno
degli intagliatori più in vista in Valtellina e per la
Sassella costruì un’ancona che è considerata fra i suoi capolavori per
la sapiente costruzione architettonica.
Il Cogoli era specializzato nella costruzione di queste grandi
macchine d’altare, strutture imponenti e complesse, architettonicamente
concepite (si parla spesso di forma a portale) e arricchite da statue e ornamenti
dalla foggia esuberante. Il Cogoli lo eseguì quando ormai da una ventina d’anni
lavorava in Valtellina: le sue prime opere sono a Pedenosso, in Valdidentro
(1666-1668), ma quasi subito si trasferisce a Sondrio dove esegue un ciborio,
purtroppo perduto, per la collegiata dei Santi Gervasio
e Protasio. Sue opere si conservano a Baruffini, a Monastero,
a Chiuro, a Sondalo. Mondadizza, Sommacologna, Frontale, Vervio.
Non vengono
invece riferite al Cogoli, ma a Giovan Battista Zotti le grandi statue dell’Angelo Annunciante e della Vergine Annunciata, la cui presenza si
deve al fatto che la chiesa era dedicata al mistero dell’Annunciazione. In un
documento del 1684 risulta infatti un pagamento allo
Zotti che, in quell’occasione, è citato come sculptor e statuarius.
La parte centrale dell’altare, un tempo occupata dalla pala di Vincenzo de
Barberis, ospita ora una nicchia con le statue coronate della Madonna del
Carmine e del Bambino.
La pala con la Adorazione dei pastori di
Vincenzo Barberi
Osservando l’altar maggiore si nota subito la mancanza della pala
d’altare. Il dipinto che fino a non molti anni fa figurava al centro di questo altare marmoreo è stato rimosso e, trasferito su
tela, si trova attualmente presso la chiesa della Beata Vergine del Rosario in
Sondrio. Nell’ambito di un discorso sulla storia artistica della
Sassella, non si può però fare a meno di parlarne, trattandosi di
un’opera di particolare pregio.
Il dipinto raffigura l’Adorazione dei pastori, è datato 1534 e fu a lungo la pala dell’altar maggiore, anche se non
sappiamo se sia stato eseguito appositamente per il nostro Santuario. Non si
capisce infatti come mai sull’altar maggiore dovesse
esserci un dipinto raffigurante l’Adorazione, quando la chiesa sembra fosse
dedicata al mistero dell’Annunciazione, scena peraltro posta al centro
dell’emiciclo absidale.
Per questo dipinto in passato sono
stati fatti i nomi di Fermo Stella e di Gaudenzio Ferrari, grandi protagonisti
della stagione rinascimentale attivi anche in
Valtellina, ma gli studi più recenti convergono ormai sul nome di Vincenzo de Barberis. Bresciano di nascita,
questo pittore si formò a Milano e fu in contatto con gli artisti più in voga
in quel momento nel capoluogo Lombardo. La sua prima carriera si svolse a Milano,
ma nel 1521 lo troviamo già in Valtellina e precisamente a Morbegno dove
collabora con l’amico Bernardino Donati alla
decorazione della chiesa conventuale di Sant’Antonio. In quegli anni il pittore
si stabilì definitivamente nelle nostre zone, abitando prima a Talamona, nella
cui parrocchiale si conservano sue opere, poi a
Caiolo. Senza voler ripercorrere la sua carriera, che lo portò a lavorare anche
nel Bormiese, non si può non ricordare che si ritiene sia lui l’autore degli
affreschi del cortile di palazzo Besta raffiguranti le
storie dell’Eneide (fine anni Quaranta), e che fu chiamato a dipingere anche al
santuario dell’Assunta. Sua è inoltre la policromia dell’ancona lignea della
chiesa di San Vittore a Caiolo (1539), ancona recentemente assegnata ad Andrea
da Saronno per quanto riguarda la parte di intaglio
ligneo.
La tela raffigura la Madonna del Rosario e santi ed è
circondata da medaglioni con i misteri del Rosario. I santi raffigurati sono
Sant’Abbondio, patrono della diocesi, i Santi Gervasio
e Protasio, patroni della collegiata di Sondrio. La composizione include poi
Santo Stefano, per espressa richiesta del canonico Merli
in quanto la sua famiglia aveva anticamente avuto il patronato di una cappella
della collegiata dedicata al santo, poi scomparsa, e i santi Domenico e
Caterina, spesso accostati alla Vergine del Rosario; tradizione vuole infatti
che sia stato San Domenico (1170-1221) ad istituire la devozione al Rosario,
essendogli apparsa la Vergine nell’atto di consegnargli una coroncina che lui
chiamò “corona di Rose di Nostra Signora”.
Nel dipinto egli reca in fronte la stella, sua attributo in quanto sarebbe apparsa sulla sua fronte al momento del
battesimo, mentre accanto a lui compare un altro suo attributo: il giglio.
Santa Caterina da Siena, appartenente a un ordine
domenicano e per questo spesso associata alla devozione del Rosario, indossa il
manto nero e la veste bianca del suo ordine.
In un recente volume su San Carlo Borromeo, Maria Luisa Gatti Perer dedica
largo spazio alla devozione al Rosario, spiegando come l’istituzione della
Compagnia del Rosario sia stata promossa da San Carlo che, constatata
la gran varietà di culti tributati alla Vergine nella sua diocesi e in quelle
finitime, ritenne di stabilire norme valide per tutta la diocesi, tenendo conto
di quanto stabilito dal Concilio di Trento ma anche tenendo conto delle diverse
situazioni riscontrate.
Grazie all’iniziativa dei
Domenicani di Morbegno. la devozione al Rosario acquistò
grande popolarità anche in Valtellina; nelle nostre chiese durante il Seicento
furono infatti costruiti moltissimi altari dedicati alla Madonna del Rosario e
numerosissime tele simili a quella di cui stiamo parlando furono dipinte, senza
contare dei tanti altari in stucco ugualmente interessati da raffigurazioni
legate al Rosario.
Molto
diffuso ovunque, il culto del Rosario si diffuse in particolare nelle zone di
confine confessionale, in quanto al rosario veniva
attribuito il potere di combattere le eresie, essendo stata attribuita
all’aiuto della Madonna invocata con la recita del Rosario la vittoria di
Lepanto del 1571 sui Turchi. Il culto del Rosario in epoca postconciliare fu
poi incoraggiato anche perché consentiva di meditare sulla passione di Cristo.
Gli
affreschi di Giovan Pietro Romegialli
Verso la fine del Settecento fu chiamato a lavorare alla
Sassella il morbegnese Giovan Pietro Romegialli (1738-1799), a quel
tempo sul finire della carriera. Il suo intervento fu piuttosto importante per la
storia artistica del Santuario in quanto egli mise
mano ai restauri degli affreschi del De Passeris, compito evidentemente di non
poco conto. I visi sembrano essere stati ritoccati di meno, più pesante sembra
essere stato il restauro in corrispondenza delle vesti e degli sfondi, ma i
dipinti maggiormente rimaneggiati sembrano quelli dell’arco fra la prima e la
seconda campata.
Al Romegialli non fu però chiesto
solo di restaurare gli affreschi del De Passeris. Si deve
infatti a lui la grande scena con Ester e Assuero in controfacciata. Nella
composizione è rappresentato un momento di una vicenda narrata in un
libro dell’Antico Testamento. Ester, avvenente giovane ebrea, ebbe il coraggio
di presentarsi davanti al re persiano Assuero senza essere convocata (il che
era proibito) per intercedere in favore degli ebrei che vivevano nel territorio
dell’impero persiano, sui quali pendeva una condanna a morte decretata dal capo
dei ministri del re. Quando Ester si presentò davanti al re, Assuero alzò lo
scettro ad indicare che intendeva ascoltarla ed Ester svenne per la grande emozione. La scena, che riguarda il momento in cui
Ester si presenta davanti al re, è stata rappresentata in
quanto in Ester la Chiesa vide una prefigurazione del ruolo mediatore
della Vergine.
Il Romegialli non si limitò però a
questa scena e agli angioletti delle lunette. Eseguì infatti
anche la decorazione della cappella laterale con la Madonna del Carmine sulla volta e raffigurazioni a monocromo nei
medaglioni. La decorazione della cappella secondo gli specialisti risente però
della stanchezza del pittore, a quel tempo ormai sul finire della carriera.
Morbegnese di nascita, Giovan
Pietro (1738-1799) riceve i primi insegnamenti da un pittore suo compaesano,
Giovan Francesco Cotta. A 18 anni si reca a Roma per un viaggio di studio e vi
rimane per qualche anno, frequentando la scuola di Agostino
Masucci e di Baldassarre Orsini. Non sappiamo quanto durò il soggiorno romano, a un certo punto il Romegialli si sposta in Centro Italia, e
precisamente a Foligno, Assisi e Spoleto, per poi raggiungere il Piemonte e
lavorare ad Ivrea e a Torino. Se qualche notizia abbiamo
della sua attività valtellinese, i periodi trascorsi lontano dalla sua terra
sono sostanzialmente avvolti nella nebbia. A Torino rimane, presso la villa
Stupinigi, il disegno eseguito dal Romegialli per un arazzo che
ora si trova a Palazzo Reale, tutto il resto è disperso.
Una fonte settecentesca (Füsslin) dà notizia di molte opere eseguite dal
nostro pittore, ma queste opere al momento non sono state rintracciate;
dal momento però che nessuna ricerca è
stata affrontata in proposito, rimane la speranza di poter un giorno
rintracciare almeno parte della sua produzione, il che consentirebbe di meglio
inquadrare la sua figura, al momento ancora un po’ sfuggente, anche se un
recente convegno tenutosi a Morbegno ha contribuito a far luce su molti aspetti
che lo riguardano.
All’inizio degli anni Sessanta il
Romegialli fa ritorno a Morbegno, dove lavora per la famiglia Malacrida. Nel
palazzo di famiglia esegue l’Aurora a
piano terreno e il Ratto di Ganimede
sulla volta del salone d’onore, i monocromi di poeti e letterati e un
paracamino; altre opere di cui si ha notizia sono invece scomparse. Per
confronto stilistico con affreschi eseguiti dal maestro a Talamona, gli vengono attribuiti gli affreschi di palazzo Peregalli a
Delebio. Inoltre, sempre a Morbegno, dipinge, in collaborazione col Pozzo, la
volta del santuario dell’Assunta a Morbegno, suoi infine gli affreschi della
parrocchiale di Postalesio.
Chi si è interessato di questo
pittore, individua negli affreschi del Santuario dell’Assunta di Morbegno le
sue cose migliori, mentre a partire dalle opere di Postalesio viene denunciata una decisa involuzione che non farà che
peggiorare a causa dell’isolamento in cui l’artista operava.
Sotto il pronao è murata una
lapide in marmo che ricorda come presso il Santuario
della Sassella sia stata per qualche anno conservata l’urna con le reliquie di
Nicolò Rusca, l’arciprete di Sondrio morto nel 1618 a Thusis a causa delle
torture subite ad opera dei protestanti.
Così recita la lapide:
Dalla Badia di
Pfaffers / per più che due secoli / custoditi onorati / i resti mortali /
dell’Arciprete Nicolò Rusca /qui traslati nel
novembre del 1845 / riposarono un settennio / quindi l’8 – 8 – 1852 /
solennemente / nell’Arciprete di Sondrio / furono riposti / nell’attesa della
Glorificazione.
Come ricorda la lapide, l’urna
rimase alla Sassella dal 1845 fino al 1852, quando con
solenne processione fu trasferita in Collegiata, dove ancora si trova proprio
sotto il ritratto del Rusca dipinto da Antonio Caimi in occasione del trasporto
delle reliquie.
Il piazzale sul quale sorge il
Santuario è sostenuto da grandi arcate costruite tra il 1730 e il 1741 da
maestranze alle dipendenze del già citato capomastro Giacomo Cometti.
Costui
era uno dei tanti capomastri di origine ticinese attivi
nella nostra zona ed era giunto a Sondrio nel 1727 al seguito dello zio che
lavorava presso il cantiere della collegiata di Sondrio che in quel momento era
in fase di ampliamento. Il progetto d’ampliamento della collegiata era stato
predisposto da Pietro Ligari, ma la direzione della fabbrica era in mano allo
zio del nostro Cometti che, l’anno dopo, lascerà il
posto al nipote. A quel tempo era rettore della Sassella
il sacerdote Francesco Saverio Sertoli, fratello dell’arciprete di Sondrio. Si
possono quindi facilmente immaginare le circostanze che portarono ad
individuare nel Cometti il capomastro più adatto per la costruzione delle
arcate.
L’intervento
del Cometti non si limitò però a questo. Presso l’archivio della collegiata
esiste infatti un disegno firmato dal nostro Cometti e
datato 1731: si tratta del progetto di un edificio da realizzarsi sul piazzale
antistante la chiesa in vista di riuscire ad organizzare, davanti al Santuario,
una grande fiera commerciale, sull’esempio di quanto accadeva al Santuario di
Tirano. La struttura prevedeva due piani di stanze e un piano terra con un
grande spazio porticato sul quale si sarebbero affacciate numerose botteghe
dalla consueta apertura ad L. Verso la chiesa e verso
la strada sarebbero era inoltre prevista la
costruzione di due monumentali porte d’accesso, ma alla fine non se ne fece
nulla.
La Sassella: un Sacro
Monte mancato
Il Santuario della
Sassella era molto caro ai sondriesi e, all’inizio del Settecento, venne
l’idea di realizzare un Sacro Monte sul modello dei tanti Sacri Monti sorti in
Lombardia e in Piemonte a partire dalla fine del Cinquecento con evidente
funzione antiprotestante, tutti costruiti sul modello del famosissimo Sacro
Monte di Varallo.
Durante la lezione del professor
Alberto Rovi si sono viste molte immagini relative ad importanti Sacri Monti
dell’area lombarda ed è stato spiegato come durante la Controriforma siano state favorite queste forme di culto collettive e
emotivamente coinvolgenti per i fedeli, in dialettica col l’approccio più
intimistico e privato del mondo protestante.
Con un certo ritardo, anche in
Valtellina si pensò quindi di dar vita a un Sacro
Monte costruendo lungo la strada che collegava la città al santuario della
Sassella 15 cappelle baroccheggianti dedicate ai Misteri del Rosario.
Dopo aver sottoposto l’idea ai
sindaci della Collegiata di Sondrio, il rettore della
Sassella si rivolse al Consiglio di Valle chiedendo di contribuire al
progetto finanziando la costruzione di una cappella. Al contempo si prendevano contati
con alcuni privati per chiedere di mettere a disposizione i terreni necessari e
si invitavano i fedeli a contribuire con elemosine.
Per ragioni economiche, il progetto non fu però portato a termine e
furono costruite solo 6 cappelle, solo 4 furono arredate. Due non esistono più.
Una è incorporata in una proprietà privata della famiglia Melazzini, un’altra
si trova lungo la strada per Triasso, una si trova poco distante dal Santuario,
un’altra ancora all’inizio di Via Bassi.
Quella che si trova all’inizio di Via Bassi,
quindi in prossimità del quartiere di Cantone, costituiva la partenza del
percorso ed era dedicata al mistero dell’Annunciazione; la cappella è però nota
come “Cappella della Madonna della Rocca”, in quanto la statua della Madonna,
colta dalla venuta dell’arcangelo Gabriele in un momento di vita domestica,
reca nella mano sinistra il fuso con la sua la conocchia, in dialetto detta
“rocca”, anche se per la verità Matteo Ceriana pensa che la rocca e il fuso
possano essere stati aggiunti verso la fine del Settecento.
Nelle cappelle dei Sacri Monti generalmente venivano
collocate statue a grandezza naturale, gruppi lignei dall’impatto scenografico,
in grado di creare immedesimazione con l’episodio rappresentato. E’ per questa
ragione che nella cappella ci sono le grandi statue dell’Angelo Annunciante, a sinistra, e della Vergine Annunciata, a destra, secondo la consueta disposizione di
cui ci ha parlato Alberto Rovi. Realizzate in legno di tiglio dipinto argentato
e dorato, le due statue sono opera dell’intagliatore
Giovan Battista Zotti che le realizzò verso il 1712.
Non sappiamo quale fosse l’originaria disposizione delle due statue, sappiamo
però che i loro gesti eloquenti dovevano ben risaltare sul fondo avorio che
interessava a quel tempo le pareti. Risalgono infatti
alla fine del secolo le quadrature eseguite da Carlo Scotti, originario della
Val d’Intelvi, mentre non sono ancora state attribuite le scene di vita della
Vergine dipinte sulle pareti.
Anche la struttura architettonica merita due parole, non fosse altro
perché presso il Museo di Sondrio è conservato il disegno di progetto con la
scritta “Per il primo Capitello della Sassella fori
del Borgo di Sondrio”. Il disegno è giunto a noi fra le carte dello Studio dei
Ligari; questo non significa necessariamente che il progetto sia stato
predisposto dal celebre pittore e architetto Pietro Ligari, anche se la cosa
non può essere esclusa, anche perché il Ligari era in ottimi rapporti coi due Sertoli e di lì a non molti anni sarebbe stato
chiamato a firmare il progetto d’ampliamento della collegiata di Sondrio.
Sostanzialmente realizzato secondo
progetto, l’edificio è a pianta ottagonale e presenta un portico sostenuto da
pilastri. Le ampie finestre consentono di guardare la scena ambientata
all’interno, come prevedeva il modello dei sacri monti seicenteschi. La
struttura era però originariamente più bassa ed era conclusa
da un tamburo con aperture ovali: nel 1918 fu sopraelevata e conglobata al
vicino orfanatrofio.
La
seconda cappella di trova invece lungo l’ultima parte
del sentiero che porta alla Sassella ed è dedicata al Mistero della Pentecoste,
anche se è più nota come “Cappella degli Apostoli” in quanto, oltre alla statua
della Madonna, custodisce 12 grandi statue lignee raffiguranti gli Apostoli con
la fiammella dello Spirito Santo sul capo, come prevede l’iconografia della
Pentecoste per indicare la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Anche queste statue sono opera dell’intagliatore Giovan
Battista Zotti, che le eseguì verso il 1715, quando riceve un rilevante
compenso.
Se la prima presenza dello Zotti alla Sassella,
probabilmente da mettere in relazione alle due statue dell’altare del Cogoli,
risale ad un momento iniziale della sua carriera, quando nel 1712 comincia a
lavorare alle grandi statue destinate a inscenare la Pentecoste nella cappella
vicino al Santuario della Sassela, lo Zotti è invece già molto conosciuto in
valle. Originario di un paesino del Veneto quasi al confine col
Friuli, Giovan Battista Zotti giunge in Valtellina all’inizio degli anni
’80 del Seicento e comincia a lavorare al fianco di altri intagliatori, fra i
quali anche Michele Cogoli. Nel giro di qualche anno si rende autonomo e
realizza importanti lavori, come il ciborio di Boffetto, gli stalli corali
della parrocchiale di Lanzada, l’altare della Madonna del Carmine di Poggiridenti, un
confessionale e un pulpito per la chiesa di Ponchera, ma le statue della
Cappella della Pentecoste rimangono fra le sue cose migliori.
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Perotti, atti degli incontri di Palazzo Malacrida – Morbegno 1999, Sondrio 2000
-Le chiese e le cappelle di Sondrio, “La voce benefica valtellinese”,
XIV. N. 6-7-8, 1937
-B. Leoni, Le cappelle del Rosario
lungo la Via Valeriana a Sondrio, “BSSV”, n. 46, 1993, pp. 153-165
-Cappella dell’Annunziata in Sondrio, Sondrio 1997