La figura della Vergine Maria nell'arte

( prof. Alberto Rovi –Docente di Storia dell’Arte)

 

Gli esempi più remoti sono nella Catacombe di Priscilla a Roma (fine III secolo): Maria stando seduta presenta il Bambino ai Magi. E' un'iconografia che rimarrà sostanzialmente immutata per secoli, fatti salvi i costumi dei Magi e le ambientazioni. Così nelle ampolle paleocristiane provenienti dalla Terrasanta e conservate a Monza si ritrovano già alcuni temi iconografici mariani. Se rarissime sono le superstiti icone mariane ad encausto precedenti la lotta iconoclasta, dopo il VII Concilio ecumenico, che sancì la legittimità e l'importanza delle immagini sacre, si sviluppò una produzione di icone a tempera all'uovo. Volta per volta Maria è Orante con le mani rivolte al cielo in preghiera, oppure Theothokos, in maestà, oppure Odighitria cioè  conduttrice che mostra a Gesù come la vera via per raggiungere il Padre. L'jcona bizantina è frutto di meditazione, pazienza, preghiera, "più che l'espressione di una personale intuizione o impressione, è frutto di una tradizione ecclesiale in cui l'artista volutamente s'inserisce, docile allo Spirito Santo" (S. M. Donadeo). La compostezza dell'immagine si determina nella valorizzazione del volto e delle mani, mentre le vesti coprono il corpo. Le tre stelle sulla fronte e sulle spalle ne indicano la verginità prima, durante e dopo il parto. "Il Bambino che tiene in braccio ha il volto di persona matura: è l'Eterno!": raffigurata col Figlio o in riferimento a lui, Maria è divenuta perciò immagine della Chiesa stessa (S. M. Donadeo). Sono rare nella nostra regione le immagini di Maria nelle quali si possa riconoscere l'impostazione bizantina.

Ma le immagini che rappresentano Maria che soffre ai piedi della croce o che sostiene il corpo esanime di Gesù sono quelle che toccando le corde della nostra sensibilità più ci avvicinano a Lei: le deposizioni, le scene di compianto, le pietà. L'aver generato il Figlio di Dio ha suscitato una venerazione antichissima, con saldissime radici popolari fondate sull'affetto e la fiducia per la Madre celeste, vista dalla gente come protettrice e "avvocata", proposta dalla Chiesa come sublime esempio di fede e di tutte le virtù. La resa in immagini oscilla perciò dalla ieraticità più solenne alla domestica colloquialità, in un infinito variare di accenti,

E' perciò impossibile render conto delle innumerevoli immagini dedicate alla Vergine. Occorre cercare di delineare le principali tipologie iconografiche, consapevoli che l'immagine di culto della Madonna subisce sensibili variazioni iconografiche da luogo a luogo in virtù del particolare aspetto della venerazione, come si verifica considerando anche soltanto i diversi santuari a Lei dedicati. Alcune di queste immagini hanno determinato un culto come la Madonna delle lacrime di Dongo, altre, come a Tirano e Gallivaggio, sono state realizzate dopo l'apparizione. Altre sono state dipinte per voto di qualche fedele ed occupano porzioni di parete condivise da santi o da altre effigi mariane. Nella chiesa di San Giacomo a Livo in Alto Lario sono una decina solo le Madonne votive diverse per atteggiamento verso il bambino, per attributi iconografici, per costume e per stile.

Ma proprio a partire da considerazioni sulla posizione che le figure occupano nel contesto della chiesa sì persegue una più chiara comprensione. Pensiamo a certe immagini che stavano su muri laterali di chiese, realizzate per voto, e poi per l'accorrere dei fedeli a chiedere grazie, tante avendone riconosciute distribuite da "quella" Madonna, ecco che il muro viene tagliato, l'immagine affrescata trasportata fisicamente e ricollocata in luogo gerarchicamente più significativo, dentro una cappella laterale o in quella maggiore. Sono numerosi gli esempi. Ne ricordo almeno due a Como, il primo in S. Orsola, la Madonna del De Passeris, passata dall'antica chiesa monastica alla cappella di sinistra in quella seicentesca, il secondo l'Adorazione dei Magi dì stampo luinesco di S. Cassìano dì Breccia, ridotta dopo due successivi trasferimenti ad una Madonna col Bambino, senza quasi più nulla dei Magi. Ricordo ìn Valtellina l'importante esempio della Madonna di Campagna dì Ponte, dove l'affresco tardogotìco dì Maria col Bambino fra San Maurizio titolare della parrocchia e S. Antonio Abate, fu ricollocato proprio nell'abside.

Nella gerarchla delle immagini bizantine la Vergine stava nell'abside, al centro fra gli apostoli, al Cristo era riservata la sommità della cupola, come nella chiesa del monastero di Hosios Lukas nella Focide o a Dafni (XI secolo). Laddove manca la cupola, come nelle chiese bizantine ìn area adriatìca, Maria sta nell'abside, sovrastata da Cristo, che è collocato nella calotta absidale, nel punto più alto della chiesa (Parenzo, mosaico del VI secolo nella Basìlica Euphrasiana). Allo stesso modo è a Monreale e a Cefalù (mosaici sec. XII): il Pantocràtor nel cantino absidale, sotto la Vergine col Bambino ìn trono fra gli angeli, nel registro sottostante gli apostoli. Invece negli affreschi absidali (sec. XIII) della Santissima Trinità di Saccargia (Sassari) Maria sta tra gli apostoli immediatamente vicina alla finestra che sì apre nell'abside, a sinistra per chi guarda, quindi nella posizione gerarchicamente privilegiata, alla destra di Cristo. Alla sua destra sta sempre nelle grandi croci dipinte tosco-umbre facendo pendant con Giovanni Evangelista, e così in tutte le canoniche scene di Crocifissione. In luogo dell'Evangelista, sta Giovanni Battista nelle scene dì Déesis, nei Giudizi Universali, fino a quello insuperato di Michelangelo, e nella Trasfigurazione di Raffaello. Ma se la Déesis iconograficamente esprime proprio il ruolo di mediatrice dì Maria schierata con l'ultimo profeta, Giovanni, pronta a intercedere per coloro che, sottovalutando l'appello giovanneo, non hanno saputo preparare pienamente le vie del Signore, ecco che Michelangelo drammaticamente modifica l'iconografia della Vergine, rendendola timorosa per la sorte di coloro per i quali neppure le sue difese hanno potuto mitigare il verdetto. Siamo qui di fronte a una delle grandi varianti iconografìche di cui solo i maggiori artisti sono stati capaci. Non è solo questione di stile, ma di interpretazione del senso profondo dei testi e di sapienza comunicativa.

Pensiamo al tema dell'Annunciazione. Molti grandi pittori e scultori vi si sono cimentati con risultati altissimi. Simone Martini (con Lippo Memmi, 1333, Firenze, Uffizi) è tra i primi a piegare il baculus viatorius ingentilendolo in un ramosecello d'alloro e insieme a rappresentare con sensibilità poetica il turbamento dì Maria, il suo ritrarsi. La cornice a tre cuspidi gioca un ruolo importante. Un secolo dopo lo stesso sentimento con i mezzi rinascimentali di una profondità prospettica pur ridotta ai primi piani di un proscenio esprime Donatello dell'edicola in pietra serena e dorature scolpita in Santa Croce a Firenze (Annunciazione Cavalcanti). Sempre la Vergine a destra, l'angelo che fa il suo ingresso da sinistra. Famose le soluzioni dell'Angelico e di tanti artisti del Rinascimento, come Piero della Francesca, fino a Leonardo. Lo schema è antichissimo e si forma sugli archi trionfali delle chiese. L'esempio più completo è forse quello giottesco alla Cappella degli Scrovegni (1303-1305), con la corte angelica attorno al trono dell'Altissimo, alla sommità dell'arco, che manda sulla terra il suo messaggero. L'Arcangelo Gabriele, mandato da Dio figura perciò alla sua destra, sul pennacchio sinistro, Maria su quello destro, del grande arco che raccorda la navata con l'aula absidale. Quell'arco, che nel corso del Medioevo acquisì la definizione di arco trionfale, rievoca l'arco trionfale degli imperatori romani. Infatti sui pennacchi di quei monumenti classici sono scolpite due vittorie contrapposte, recanti in genere un'insegna. La vittoria, derivata dalla greca nike, si trasforma nel significato cristiano dell'angelo, che regge il baculus viatorius, insegna del messaggero imperiale che si tramuta nel segno del comando divino. Nella trasformata chiesa di San Giovanni in Laterano l'annunciazione stava sui pennacchi dell'arco trionfale, così come dipinti trecenteschi sono a Como in S. Abbondio, in S. Agostino e parzialmente (solo Gabriele) nella pericolante sconsacrata chiesa di S. Lazzaro. E' frequente ritrovare l'Annunciazione anche sui pennacchi di archi di accesso alle cappelle dentro una chiesa (Como, S. Agostino, cappella della cintura; Livo, San Giacomo, Cappella di San Rocco), o sopra un ciborio (Parenzo, Basilica Euphrasiana). Ma un conto sono le due vittorie degli archi romani, un conto il tema cristiano in chiesa. Eppure un esempio intermedio c'è, bellissimo, nella chiesa di San Proclo a Naturno in Val Venosta. Esempio antichissimo (secolo VIII), di età longobarda, dove sui pennacchi c'è un arcangelo per parte, dipinto in toni di un verde smeraldo di non riproducibile intensità, con ali non conformi agli schemi classici, in una dinamica interpretazione dell' iconografia bizantina.

Le immagini hanno una loro grammatica che diciamo iconografìa, che nell'Annunciazione prevede quella costante posizione sinistra/destra per Gabriele/Maria. Le varianti sono poi numerose: Maria in ginocchio, in piedi, seduta; Gabriele in piedi o in ginocchio; solennemente fermo nel Beato Angelico oppure agitatissimo come nell'Annunciazione recanatese di Lorenzo Lotto che mostra la Vergine spaventata, rovesciando, qui sì, la posizione destra/sinistra tradizionale, mentre fugge da mezzo il quadro un gatto atterrito dall'apparizione, che da spirituale si fa carnalissima, con tanto d'ombre sotto le muscolose membra dell'arcangelo. Qui stiamo guardando il quadro. Esiste un problema di contesto delle immagini, una vera e propria sintassi all'interno dell'edificio, che costituisce per così dire la macrostruttura iconografica, sempre estremamente indicativa sul piano semantico, perché gerarchizzante. Si è accennato alla collocazione absidale della Vergine sotto il Cristo nelle chiese bizantine e bizantineggianti. L'Annunciazione sull'arco trionfale si spiega bene quando si riflette sull'orientamento della chiesa con l'abside rivolta a est, alla fonte della luce solare, all'Oriente identificato col Cristo che viene nel mondo. Ecco allora che l'annuncio di salvezza, dipinto ai lati della grande apertura absidale, si fa annuncio della Luce che giunge dal fondo. Ecco perché talora l'Annunciazione è scolpita sulle spalle della finestra centrale della abside, come alla Sacra di San Michele in Val di Susa: il significato è ancor più immediato. Stiamo parlando di scultura romanica, e di pittura gotica. Dal Quattrocento si incomincia a trovare l'Annunciazione spostata in facciata. A Perugia, nella facciata scolpita dell'Oratorio di San Bernardino (Agostino di Buccio, 1457-1461), nella facciata del Duomo di Como (Tommaso Rodari 1484), sul protiro di Santa Maria in Campagna a Ponte in Valtellina, (inizi sec. XVI). L'Annunciazione diventa annuncio all'esterno, richiamo al passante, promessa di salvezza, nella logica del predicare portato anche fuori della chiesa dagli ordini mendicanti, in particolare dai francescani. Permane una precisa traccia della struttura iconografica dell'arco trionafe: A Perugia le due edicole stanno di qua e di là di un grande arco disegnato a rilievo che racchiude un san Bernardino irraggiante luce col nome di Cristo inciso sulla tavola che regge; nella cattedrale comense c'è invece il rosone, esso stesso portatore di luce; a Ponte in Valtellina la luminosa apertura del protiro.

Nei cicli affrescati si ripropongono momenti della vita di Maria: la Natività della Vergine: la Natività di Maria è oggetto di un'orchestrata composizione a più livelli di profondità ideata dal Morazzone per la chiesa di S. Agostino di Como e ripresa dal cartone dì Giovan Battista Recchi tradotto in arazzo per il Duomo (N. Forti Grazzini 1986).

Numerosi sono gli esempi dì Vìsita di Maria ad Elìsabetta, che sempre esprimono l'affetto tra le due donne, la reciproca premura, la gioia sommessa e condivisa del concepimento e dell'attesa,  Bellissime le rare  plastiche dei Sacri Monti.

L'episodio immediatamente seguente è la Natività dì Cristo, oggetto dì numerosissime e svariate ìntrepretazioni iconografiche, capaci di cogliere l'intimo, estatico raccoglimento di Maria (dopo la fase bizantina in cui sta coricata dopo il parto) e Giuseppe (dopo la fase medievale dì atteggiamento distaccato) in adorazione del Bambino che protende la mano verso la madre .

La trecentesca scultura in marmo della Madonna del Soccorso può bene esemplificare la produzione ininterrotta dal Medioevo di statue dì culto della Vergine col Bambino, regalmente seduta e incoronata "in maestà". L'uso occidentale di incoronare le icone mariane si sviluppa anche a vantaggio dì figure dipinte, andando talora a mescolare e identificare, come nelle numerose Madonne del latte, valori apparentemente distanti come quello umanissimo dell'allattamento, vietato nelle sue forme troppo esplicite dalla Controriforma, con quello della sovranità celeste. La vita quotidiana di Maria a fianco di Gesù è talora condensata nel tema della Sacra Famiglia, che assume valore esemplare dì modello cristiano, mentre è raro trovare esplicitato il rapporto madre - figlio nell'episodio delle Nozze di Cana (Morazzone, S. Agostino in Como) o l'apprensione della madre per il figlio improvvisamente scomparso e poi ritrovato a discutere nel tempio: lo sì ritrova nelle rovinate lunette dei Recchi a S. Giuseppe in Valleggio di Como.

Nei santuarì e nelle cappelle dedicate a Maria sono frequenti i cicli ad affresco che tra gli episodi della Vita della Vergine presentano lo Sposalizio della Vergine, raro è invece il viaggio a Betlemme (Castelseprio IX secolo; S. Abbondìo 1320 ca.), canonica la Presentazione di Gesù al tempio, come l'Adorazione dei Magi, frequente la Fuga in Egitto. Gli episodi connessi ai momenti più drammatici, quelli in cui Gesù è protagonista, si dispongono di solito negli altari dedicati alla Madonna del Rosario. Attorno all'icona dipìnta o scolpita della Vergine sono raffigurati i quìndici misteri del rosario, cinque gaudiosi, cinque dolorosi, cinque gloriosi. Si tratta di quadretti di misure contenute, di formato tondo, quadrato, ovale, dipinti su tela, o su rame.

Alcuni misteri gloriosi come la Discesa dello Spirito Santo, l'Assunzione e l'Incoronazione di Maria occupano solitamente luoghi privilegiati nel contesto dei cicli, così come nei Sacri Monti costruiti sul tema del Rosario (Varese, Madonna del Soccorso a Ossuccio) l'Incoronazione si trova non in una cappella esterna, ma sull'altare maggiore della basilica del santuario.

Sono queste codificazioni maturate dopo il Concilio di Trento: nella sacrestia della cattedrale comense rispettivamente il ciclo di Antonio Sacchiense da Pordenone (1570) e quello del Morazzone (1610), a Gallivaggio ad opera di Gian Domenico Caresana (1605-1606), a Campione alla Madonna dei Ghirli (Isìdoro Bianchì), a Tirano (cinque tele di Giovan Battista Recchi nell'abside, 1634-1637).

Ma non meno interessanti sono i cicli dì Santa Maria Rezzonico e di Prosto dì Pìuro dove sono raffigurati all'esterno e all'interno dell'arco trionfale, rispettivamente ad affresco e su tela, i simboli mariani. Lì sì ritrova spesso come riempitivo dipinti o a stucco fra i temi principali delle cappelle mariane, oppure nelle predelle (Musso), o nei paliotti d'altare.

Temi analoghi precedenti sono sulla facciata del Duomo di Como, sulle lastre inferiori delle lesene dì facciata abbinate a sìmboli cristologici..

"Le icone mariane dalle molteplici fisionomie hanno affollato i secoli; tutte però risalivano alle icone non dipìnte ma descritte che sono distribuite nelle pagine bìblìche  (...).

La tradizione dei Padri, la liturgia, la devozione popolare e colta...  per secoli ha intravisto in volti femminili dell'Antico Testamento i tratti “anticipati” della Madre del Signore" (Gianfranco Ravasi 1993): interpretazione allegorica fondata sull'intuizione della corrispondenza tra Antico e Nuovo Testamento: l'antica alleanza del popolo ebraico con Dio conduce alla nuova. Prendiamo ad esempio due santuari mariani come il Sacro Monte di Varallo e quello di Varese: la prima cappella di Varallo contiene la vicenda di Adamo ed Èva; a Varese, prima di varcare il primo arco del percorso c'è la chiesa in forma di cappella dedicata all'Immacolata. Dopo l'Annunciazione, nella cappella della Visitazione, i medaglioni monocromi verdi (la speranza) raccontano del peccato originale. La Donna che salva l'umanità è la nuova Eva, sia che venga raffigurata presso il drago apocalittico come negli affreschi romanici di San Pietro al Monte sopra Givate, sia che calcando la falce di luna schiacci il serpente.

Tra i riferimenti all'Immacolata possiamo portare, fra tanti, il seguente esempio. Il Bustino vecchio (Antonio Maria Crespi) dipinse nella chiesa di Breccia presso Como una Visitazione, dove Zaccaria e Giuseppe seguono Maria ed Elisabetta. L'episodio si avvicina per l'impianto scenico della casa, col cagnolino sul terrazzo d'accesso, agli esempi dei Sacri Monti, e con quelli in sintonia per lo spiccato senso dell'azione. Inconsueta è infatti nei dipinti questa iconografia della Visitazione, perché la scena è cronologicamente successiva a quella dell'incontro, che solitamente rappresenta Elisabetta e Maria che si salutano abbracciandosi, l'una di fronte all'altra. Qui le due donne sono volte nella stessa direzione: Elisabetta, visibilmente anziana, tiene per mano Maria guidandola verso casa. Occhieggiano dalla finestra un' ancella e dalla porta un giovane, che sono altrettanti motivi presenti nelle cappelle dei Sacri Monti: per esempio a Varese nella seconda cappella dipinta nel 1624 dal comasco Giovan Paolo Ghianda e proprio dedicata alla Visitazione. Le visite annuali al Sacro Monte si possono perciò ripensare come una molla che può avere indotto la committenza    (il parroco di Breccia?) a suggerire precisi scenari al pittore Antonio Maria Crespi, che sappiamo attivo alla VII Cappella del Sacro Monte di Orta, 1628-29. Molta attenzione è prestata all'architettura degli scalini e delle balaustre della casa di Elisabetta. Sui pilastrini spiccano da una parte e dall'altra due motivi, di notevole evidenza, scolpiti a forma di zucca. Sembra che Elisabetta nell'invitare la Vergine indichi proprio la zucca in primo piano. La forma della zucca non è certo casuale, rientrando, in alternativa al cetriolo, nella simbologia dell'Immacolata Concezione, come è attestato dall' iconografia rinascimentale. A conferma della lettura della forma di una zucca scolpita sul pilastrino, si può portare a confronto, ancora in ambiente comasco, la lunetta con la Visitazione dipinta dai Recchi in San Giuseppe in Valleggio (con curioso gioco chiastico nella distribuzione dei personaggi maschili e femminili): la zucca che fa da pomolo al pilastrino della balaustra della scala è inequivocabilmente la figura di un vegetale, con tanto di foglie disposte a calice alla sua base. Pur mancando documenti atti a definire le cronologie del Bustino e dei Recchi, che, fra le diverse campagne d'intervento in S. Giuseppe, sappiamo dipinsero sicuramente nel 1626, le due Visitazioni potrebbero essere molto vicine, forse entrambe entro il 1630.

La combinazione del racconto e del simbolo è frequente: Beato Angelico nell'Annunciazione di Cortona dipinge sullo sfondo la Cacciata dei progenitori; nei dipinti della scuola padovana di Francesco Squarcione, dal Crivelli al Mantegna, l'impiego di simboli vegetali è frequentatissimo.

  

Bibliografia di riferimento:

 F, Antal, La pittura fiorentina e il suo. ambiente sociale nel Trecento e nel primo quattrocento,  Einaudi, Torino 1960

G. M. Toscano, il pensiero cristiano nell'arte, vol. II, Istituto Italiano d' Arti Grafiche, Bergamo I960.

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G. F. Ravasi, L'albero di Maria. Trentun "icone" bibliche mariane, Ed. Paoline, Alba (Cuneo) 1993.

Pittura a Como e nel Canton Ticino dal Mille al Settecento, Cariplo, Milano 1994.

Pittura in Alto Lario e Valtellina dall'Alto Medioevo al Settecento, Cariplo, Milano 1995.

La cattedrale sul lago. Forme spazi e simboli di fede nel Duomo di Como, Giorgio Mondadori 1995.

M.LONGATT, San Giuseppe in Galleggio. Per la storia di una comunità, Como 1998

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