Itinerari mariani tra Adda e Mera
( mons. Ugo Pedrini - Parroco di Berbenno-SO)
Un’epigrafe.
Accanto all’ingresso principale della chiesa parrocchiale di Berbenno, dedicata all’Assunzione della Beata Vergine, c’è un’epigrafe latina. L’eleganza e la musicalità della lingua di Cicerone fanno supporre che l’abbia dettata l’arciprete Bernardo Piazzi, zio del grande Religioso astronomo, di cui, finalmente, si stanno riscoprendo i meriti, non soltanto scientifici.
E’ così solare che vale la pena di riportarla così come si offre a chi sosta nel portico secentesco, in attesa di entrare in chiesa.
Ingredere lubenter qui ades
noveris
totum Deiparae dicatum hoc templum
Assumptionem in titulum
Nativitatem pro dedicatione
ostentat.
Tali auspice quid non sperandum
discant alieni
hanc qui non diligunt advocatam
seipsos neglegunt
“ Entra volentieri tu che sei qui nell’atrio della chiesa. Sappi che in questa chiesa tutto parla della Madre di Dio . E’ intitolata al mistero della Sua Assunzione, ed è stata consacrata nel ricordo della Sua Natività. Si ricordino gli “alieni” ( quelli che non l’invocano ) che avendo Maria come protettrice non saranno mai dei disperati. Coloro che non la pregano con affetto come avvocata trascurano se stessi."
Parafrasando un passaggio dell’epigrafe, penso che si possa affermare che “tutto il territorio della Valtellina e della Valchiavenna parla della Madre di Dio. In ogni chiesa, anche in quelle dei piccoli villaggi che vanno progressivamente spopolandosi, la Madonna è presente in altari dedicati ai misteri della Sua straordinaria esperienza di Madre del Figlio di Dio Redentore. Opere d’arte di pittori famosi o di scultori anonimi la ritraggono conferendo alla Sua immagine un tratto singolare di delicatezza e di serenità. Persino nelle chiesette alpestri o nelle edicole che fiancheggiano i sentieri di campagna, ci si imbatte in segni che rendono affabile e vicinissima la Sua presenza. L’epigrafe, antica di quasi quattrocento anni, lascia trasparire la preoccupazione pastorale del parroco, che sa di mettere in buone mani i fedeli che gli sono affidati, se li avvicina alla Madre di Gesù e nostra e se li educa a guardare a Maria come alla “stella che orienta nei momenti difficili della navigazione”, come suggerisce San Bernardo.
Gli “alieni” che ignorano la Madonna e non intrattengono con Lei un rapporto affettuoso di preghiera, a parere dell’epigrafista, sono incamminati verso una esistenza senza speranza. Non curano il loro vero bene cedendo alla tentazione di voler affrontare gli impegni della vita contando unicamente sulle loro risorse personali. Certamente, nel numero degli “alieni” erano compresi quanti già si erano dati alle dottrine calviniste o coloro che ne subivano il fascino. Una Comunità senza la Madre è orfana e senza gioia. L’Arciprete Piazzi, in quegli anni bui, lo sperimentava in prima persona.
Il lavoro di don Carlo Bozzi e la terribile frana del Monte Coppetto del 1987
Credo di dover cogliere l’opportunità per segnalare all’ammirazione di quanti seguono con interesse gli argomenti che l’Associazione Terzo Millennio propone, il lavoro che, per anni, ha impegnato un Sacerdote Valtellinese, deceduto recentemente. Il Sacerdote è Don Carlo Bozzi, parroco di S. Maria Maddalena e di S. Antonio Morignone, la Parrocchia cancellata tragicamente dalla frana del monte Coppetto. Don Carlo Bozzi aveva voluto conoscere di persona tutti luoghi sacri, edificati in onore della Madonna, presenti sul territorio della Provincia di Sondrio.
La sua appassionata ricerca non si è limitata alle chiese parrocchiali dedicate alla Madonna o ai misteri che ne celebrano la presenza nella Storia della Salvezza. Ha posto attenzione anche alle piccole edicole, volute dalla pietà dei fedeli negli angoli più impensati. Un lavoro svolto con rigore scientifico, ricco di dati storici, di memorie devozionali, di tradizioni antiche, di documenti fotografici, che avrebbe potuto costituire un insostituibile vade mecum per chi avesse desiderato darsi un’idea completa non solo della presenza straordinariamente intensa di edifici sacri costruiti in onore della Madre di Dio, ma anche della devozione sincera e forte delle nostre popolazioni a Colei, che, sempre, le ha protette e sostenute nei passaggi difficili della storia.
Purtroppo, la preziosa documentazione non esiste più. E’ stata inghiottita, insieme con la casa parrocchiale di S. Antonio Morignone, in quel doloroso mattino del 28 luglio dell’anno della grande sciagura, il 1987.
Don Carlo, uomo di Dio, non si mai lasciato sfuggire un solo lamento per la perdita di quel tesoro di notizie e di pietà mariana. Ha certamente portato nell’animo l’amarezza di quel furto perpetrato in modo così drammatico dalla natura violenta. Ha voluto far capire ai suoi parrocchiani, sbigottiti per la tragedia che li ha segnati, che anche la perdita di quanto abbiamo di più caro “non è nulla in confronto a un peccato, che allontana Dio dall’uomo”. Sono parole sue nel ciclostilato distribuito l’indomani della caduta della frana.
Ci incoraggia nell’impegno di scoprire nel nostro passato e in ciò che ci è venuto in eredità dagli antenati il ricordo patetico della ricerca di don Carlo Bozzi. Ci incoraggia e ci stimola a riprendere e a portare a termine il suo progetto, così bruscamente interrotto.
Pellegrino in cerca della Madre.
Ma una madre non abbandona mai il figlio, neppure quando l’arroganza e la stoltezza del figlio scavano un fossato profondo e tracciano una separazione che sembra incolmabile.
I primi pellegrinaggi ebbero come mete i luoghi segnati dalla presenza di Gesù e degli Apostoli. Il …pellegrino rappresentava visibilmente lo stile di vita del Cristiano. Il Cristiano battezzato sa che la sua presenza sulla terra dei viventi è provvisoria. La sua durata è breve, anche se calcolabile con un numero cospicuo di anni. Tutto è provvisorio quaggiù. La Patria è in quel “dopo” misterioso, verso cui ogni persona è incamminata. Non esiste un luogo dove il pellegrino possa dire, come usavano i legionari dell’antica Roma,“hic manebimus optime” (qui ci siamo per rimanere splendidamente).
Il cammino del pellegrino si svolge per tappe. E ogni tappa gli deve ricordare che la meta è là dove è atteso. A ogni sosta il pellegrino incontra amici che sono sulla sua stessa rotta e racconta. Dice di sé, della sua tensione interiore, delle sue speranze, degli incontri avuti.
La presenza della Vergine Santa nella vicenda dei battezzati è andata affermandosi in misura forte. Si è inserita nella vicenda umana della Chiesa e si è collocata fra noi come quella della madre che, a ogni tappa del cammino, aspetta i figli che arrivano stanchi. I Santuari mariani ai collocano a queste tappe intermedie del nostro pellegrinaggio umano. Lì si restaurano le energie. Lì c’è sempre chi dimostra interesse quando raccontiamo le notte debolezze e i nostri cedimenti. Lì rinasce un colloquio che taceva da tempo.
Da quando l’umanità, sulla spinta delle straordinarie esperienze de Santi, ha scoperto che la via maestra per ritrovare Dio, magari visitando i luoghi dove Gesù parlò del Padre e ci garantì la salvezza, è quella che passa attraverso la tenerezza della Madre, i pellegrinaggi si sono arricchiti di nuove luci. Il cammino è apparso più agevole.
Piccoli Santuari mariani.
Possiamo considerare piccolo Santuario in onore della Madonna tutto ciò che parla di lei : nelle chiese delle parrocchie di Valtellina e di Valchiavenna, nelle chiese dedicate a Lei per ricordare favori e per propiziare aiuti, nelle “santelle” disseminate lungo i viottoli della campagna, sugli alpeggi, sulle vette, gli altari con la pala che la raffigura in compagnia dei Grandi Santi che L’hanno onorata e fatta amare...
Da Nuova Olonio con la chiesa della Madonna del Lavoro fino allo Spluga in ogni chiesa c’è un altare, una statua, un dipinto che la propone alla venerazione dei fedeli.
A Menarola, la piccola comunità che si affaccia su Chiavenna ben tre sono i ricordi della Santa Vergine : l’Addolorata, la Madonna della Neve, la Visitazione.
A Motta, la Madonna d’Europa, la grande statua dorata che protende le mani verso le Alpi, quasi a volerle superare con un abbraccio che arrivi a tutti i popoli della Continente: grande intuizione di don Luigi Re, che ha precorso, anche con questo ricordo della Madonna, i progetti dei tre Grandi che, dopo la guerra, operarono con convinzione nella costruzione di un’Europa dalle comuni radici culturali cristiane.
Poi da Chiavenna al confine, la Madonna della Salute, l’Incoronata e l’Assunta titolare della chiesa parrocchiale, sorta poco lontano dalla Piuro sepolta sotto al grande frana.
L’intera Valle dell’Adda è un inno glorioso alla Madonna, da Livigno a Bocca d’Adda, nella Valmalenco e nelle piccole convalli dei torrenti che sfociano nel grande fiume. I titoli con i quali la Santa Vergine è onorata costituiscono una lunga e affettuosa litania, più ricca di quella delle Litanie lauretane, cantate con vigore, fino a pochi anni fa, nelle processioni e dopo il Rosario in tutte le chiese. Ai titoli tradizionali si sono aggiunti quelli che ricordano le località dove la Madonna, apparendo o manifestando con solennità la sua presenza, ha avuto un culto che ha subito assunto i toni del fervore popolare. Ci sono chiese dedicate alla Madonna di Lourdes, alla Madonna di Caravaggio, alla Madonna di Pompei, alla Madonna di Loreto, all’Ausiliatrice, quasi a voler importare sul nostro tessuto umano le luci, che, nel mondo, si sono accese per illuminare i percorsi non sempre scorrevoli dei credenti. Queste forme devozionali, relativamente recenti, si sono aggiunte a quelle che hanno segnato la presenza in Valtellina di Ordini Religiosi di grande prestigio, che avevano fatto dell’amore alla Madonna il punto di forza di una vigorosa evangelizzazione per tempi non facili.
La devozione alla Madonna del Carmine, così diffusa e ben radicata in Valtellina, si deve all’opera formativa svolta dai Carmelitani . La devozione al S. Rosario viene dalla spiritualità domenicana, presente in Valtellina coni il convento di Morbegno. La Madonna è raffigurata con San Domenico e con S. Caterina. I Francescani e i Gesuiti, durante la loro non prolungata presenza nella nostra terra, non hanno ignorato l’importanza di un’educazione alla pietà mariana per salvare dal pericolo dell’eresia i cattolici valtellinesi e per ricondurre i lapsi alla Fede genuina.
Merita una sosta, ancorché rapida, il santuario dell’Addolorata a Fior d’Alpe, parrocchia di Premadio. Dalla sua ubicazione eminente e con le linee gradevoli della sua architettura invita a confrontare le sofferenze dei poveri mortali con quelli, salvifiche, della Madre di tutti.
La chiesetta della Beata Vergine della Misericordia, nella sua architettura ottagonale e con il tetto che richiama le cupole delle chiese orientali, sola soletta lungo la strada per la Valfurva, invita a un saluto : “prega per noi, peccatori”.
Fra i titoli che indicano la presenza della devozione a Maria non se ne trovano qui da noi che richiamino quelli resi celebri da raffigurazioni famose o da devozioni locali o da momenti significativi della vita d’ogni giorno. Non ha giocato di fantasia la devozione mariana valtellinese. Ha puntato sull’essenziale.
I grandi Santuari di casa nostra.
Un itinerario ideale e completo, che tocchi le tappe più vive della devozione alla Madonna parte da Grosotto, sosta prima a Tirano e poi a Tresivio per concludersi a Gallivaggio.
Sono i quattro poli, che, in modo più significativo, danno la misura di quanto sia radicata devozione mariana in Valtellina e in Valchiavenna.
Di ognuno di questi luoghi di preghiera e di conversione verrà detto nelle varie relazioni, predisposte per questo carrefour mirato a rendere più esauriente la conoscenza di tutto ciò che parla della Madonna in questa nostra Provincia.
Qui passiamo in rapida rassegna queste quattro tappe sublimi, proprio per sentirci nell’animo “pellegrini”, cioè persone in cammino verso la Patria, ma sulla rotta tracciata dalla nostra Madre celeste..
La Madonna delle Grazie invita alla riconoscenza. Il magnifico Santuario è sorto e si è arricchito di pregi artistici per riconoscenza alla Madonna, a cui i nostri Avi hanno attribuito il merito di essere usciti salvi dalle epidemie di peste e dal passaggio delle truppe sacrileghe, che, scendendo da Bormio, hanno saccheggiato e distrutto i beni della gente e gli oggetti sacri delle chiese. L’antica statua della Vergine con il Bambino, venerata nell’altare di destra, assiste allo sfilare continuo di persone, che chiedono un aiuto, un po’ di serenità. Nel suo atteggiamento modesto contrasta con la visione grandiosa della grande pala lignea che fa da sfondo all’altare maggiore. Ma invita alla fiducia.
Nei pressi del Santuario è stata posta la statua di Padre Pio, il frate delle stigmate, l’amico dei sofferenti, grande confidente della Madonna. Un Santo dei nostri tempi, quasi a dire che la devozione alla Madonna è di viva attualità oggi, come lo fu in epoche remote. L’uomo ha struggente necessità di Grazie e di Grazia. E si rifugia, come un bambino, ai piedi della Madre che non delude mai.
Non ha un titolo proprio la Madonna venerata nel Santuario Basilica dell’Apparizione di Tirano. E’ la Madonna di Tirano, senza aggiunte. Dove ora c’è il Santuario, c’erano, in quel lontano 1504, campi e vigneti. Quella zona era chiamata “la folla”, perché l’acqua del vicino torrente era utilizzata per azionare la rudimentale macchina che dava consistenza ai tessuti di lana grezza.
Il Santuario di Tirano è il cuore dei credenti valtellinesi. La statua della Madonna, che si offre alla devozione dei fedeli dalla nicchia sopra l’altare, la raffigura in un atteggiamento singolare : La Madonna a mani giunte, guarda a Gesù adagiato nella culla, ai suoi piedi.
L’immagine della Madonna dI Tirano non è presente nella chiese di Valtellina. La si trova solamente qui. E qui vengono numerosi i fedeli per incontrarla, ammirarla, parlarle, ascoltarla.
Ma ciò che fa del Santuario di Tirano il cuore della nostra vita religiosa è il ruolo che la Provvidenza gli ha affidato. Pochi anni dopo l’apparizione, la Valtellina fu aggregata al territorio dei Grigioni e questi, passati alla eresia calvinista, misero in serio pericolo la fede cattolica e la fedeltà al Papa. La prova risultò durissima. Ma la Fede genuina uscì vincente e se ne attribuì il merito alla Madonna, apparsa proprio qui, allo sbocco della Valle Poschiavo, per dire a ognuno di noi “ Bene avrai”.
Il sorgere dello splendido Santuario ha del miracoloso. Custodisce tesori d’arte, ha visto in preghiera San Carlo e personaggi illustri. Sembra accogliere affabilmente coloro che salgono verso l’Alta Valle,invitando a una sosta e a un breve intenso colloquio.
Nel 1946, la Madonna di Tirano, in una giornata indimenticabile, presente anche il Card. Ildefonso Schüster, Arcivescovo di Milano, la Madonna di Tirano fu proclamata Patrona Principale della Valtellina. La guerra, da poco terminata, aveva lasciato ferite profonde negli animi. Strascichi di odio e non sopiti rancori rendevano difficile quella pacificazione, su cui sarebbe dovuta fondarsi la ricostruzione di una civiltà nuova. Ci siamo affidati a Lei, come già avevano fatto in svariate circostanze i nostri antenati, perché sapessimo ritrovare la concordia e la volontà di collaborare, sentendoci fratelli. Nel Santuario di Tirano trovano assistenza e attenzione anche i malati, che vi affluiscono, aderendo all’invito della Madre celeste, che predilige i sofferenti.
La Santa Casa di Tresivio, dall’alto del Roccione che la ospita, domina idealmente tutta la Valtellina. Tresivio, per la sua posizione centrale nel territorio della Valle dell’Adda, fu luogo importante nei secoli. Vi risiedettero i Governatori di Valle e il Vescovo di Como vi dimorava per qualche tempo nei mesi estivi. Il Santuario sorse verso la metà del Seicento proprio dove, da oltre mezzo millennio, esisteva una chiesa. Fu pensato come un monumento imponente. Avrebbe dovuto essere il cuore della vita religiosa dei Valtellinesi. Erano anni difficili quelli che videro l’inizio del lavori per la costruzione della Santa Casa. I Valtellinesi, dopo il fallito tentativo di sottrarsi al dominio dei Grigioni con la rivoluzione del 1620, avevano dovuto assoggettarsi di nuovo a una situazione ingrata, decisa a tavolino, per non turbare delicati equilibri fra le potenze europee. Per eserciti stranieri e per milizie di ventura la Valtellina era una normale via di transito.
E dove passava la soldataglia proveniente da Nord rimanevano i segni. Distruzioni e peste. Così per decenni. L’epidemia di peste bubbonica portò via più della metà della popolazione valtellinese. Per i superstiti, come già era avvenuto per i loro Padri, non rimase che rifugiarsi nella devozione alla Madonna, il punto fermo della religiosità valligiana. La Santa Casa avrebbe dovuto essere il monumento ex voto alla Madonna per i risparmiati dal contagio e un punto di riferimento per i Valtellinesi, che avrebbero dovuto ritrovare se stessi e le energie necessarie per risorgere dopo le sventure.
Il Santuario avrebbe dovuto ricondurre al cuore della Fede cristiana. E divenne una copia della Santa Casa di Loreto, dove il pellegrino sosta per riflettere sulla scritta “Hic Verbum caro factum est”. Qui il Verbo si fece carne”. Non fu un’impresa facile elevare alla Madonna un monumento così grandioso e solenne. Nonostante l’impegno dell’intera Valtellina, la costruzione ebbe i suoi momenti di fatica. E difficoltà accompagnarono sempre, anche nei secoli successivi, la sua manutenzione, fattasi ardua per diversi motivi. Ciò non toglie alla Santa Casa il fascino che la distingue, il richiamo alle Verità di fondo per noi credenti, l’attrazione per un monumento che si impone. Ora, risolti i principali problemi riguardanti la staticità, il santuario è stato riconsegnato alla devozione della gente. L’interno, ricondotto al primitivo splendore, invita alla preghiera, al silenzio e alla contemplazione gioiosa d’uno dei più smaglianti panorami di Valtellina.
Gallivaggio è una piccola espressione geografica, nemmeno un villaggio, quattro case e una chiesa, grande e bella, costruita nel posto più strano e irrazionale, per ricordare che, il 10 ottobre del 1492, la Madonna si è mostrata a due ragazzine che stavano raccogliendo castagne. Ma da quel giorno Il luogo ignorato assurse a notorietà e divenne u luogo di speranza e di pace. La Madonna venerata a Gallivaggio è la madre della misericordia. Propizia la conversione e il perdono. Il pellegrino che sosta a Gallivaggio per rimanere in silenzio davanti al masso di granito, posto sotto l’altare, su cui la Madonna apparve, trova il coraggio di riconoscere i propri sbagli, incoraggiato dalla buona madre misericordiosa, che non si stupisce mai delle nostre debolezze, le comprende e ci dà la forza per liberarcene.
Anche il Santuario di Gallivaggio, come quello di Tirano, si pose come un baluardo a difesa della Fede minacciata dal dilagare degli errori del Calvinismo. Situato lungo la strada, che, attraverso il Passo dello Spluga, porta nel cuore dell’Europa di lingua tedesca, svolse il ruolo di sentinella posta in luogo eminente per segnalare i pericoli e per mettere in guardia gli indifesi. Il bel campanile è lì di fronte alla chiesa, sentinella vigile. Le comunità della Valchiavenna hanno nella Madonna di Gallivaggio l’ispiratrice dell’attività pastorale.
La natura selvaggia dentro la quale si colloca Gallivaggio, sulle prime, intimorisce e sgomenta. Poi fa gustare un silenzio raccolto, non disturbato nemmeno da panorami invitanti.
E’ un itinerario di speranza quello che ci ha portati dalla Madonna della Grazie (Grosotto) alla Madre della Misericordia, passando attraverso Tirano, dove si prova la gioia di essere amati . Le parole dell’epigrafe scritta sulla parete esterna della chiesa di Berbenno, ci hanno accompagnato nell’immaginario pellegrinaggio. Davvero siamo come naviganti senza bussola, se ci illudiamo di poterci avventurare nel mare magnum del nostro vivere, escludendo la Madonna dalle nostre scelte e dalle nostre sofferenze.
Conclusione.
La scorsa estate, in occasione di un Pellegrinaggio in Turchia, sulle orme di San Paolo, ho potuto sostare nel luogo, che la tradizione indica come quello nel quale la Madonna, affidata da Gesù all’Apostolo Giovanni, visse parte degli ultimi anni della sua esistenza terrena. Un’esperienza emozionante. IL 15 Agosto, Festa dell’Assunzione, in quel luogo, dove si respira serenità, accorrono moltissimi: con i pochi cristiani, sparuta minoranza in Turchia, c’è una folla di musulmani. Lascio quell’angolo di serenità e di pace con il cuore colmo di speranza. Nel momento cruciale che stiamo vivendo, mentre segnali sinistri fanno temere una catastrofe, la Madonna si pone come mamma di tutti fra il mondo cristiano e quello islamico, entrambi alla ricerca di una convivenza pacifica.