I SANTUARI NEL TEMPO. MARIA E L’ANNO LITURGICO

(Mons. Felice Rainoldi - docente di Liturgia e Musicologia)

 

Pellegrini nel tempo

Prima di me don Ugo Pedrini ha parlato del pellegrinaggio. I santuari sul territorio, quelli mariani in primo piano,  richiamano prepotentemente questa suggestiva pratica religiosa universale, tanto importante anche nella religione biblica ed ora nella prassi del popolo cristiano.

Ma devo proporre, con questo intervento, la natura di un tipo particolare di ‘cammino’, e lo chiamo pellegrinaggio per analogia a quello del nostro percorrere lo ‘spazio’, che comporta un moto di natura direzionale.

Intendo alludere a quella sorte di  pellegrinaggio che tutti viviamo dentro il tempo e lungo il tempo; un moto contemporaneamente ‘lineare’ e ‘ciclico’, che ci permettere di raggiungere altezze e profondità in relazione alla costruzione del nostro essere. Verso le mete spaziali ‘andiamo e torniamo’, certamente arricchiti; nel tempo il cammino è sempre e soltanto in avanti, per la sua irreversibilità.

Ma la Chiesa, sul rimo ciclico degli astri e delle stagioni fissa per noi, ritualmente, delle tappe: sono delle soste paragonabili a ‘santuari dello spirito’. In tal modo il cammino della vita cristiana avanza e sale, nella iterazione dei cicli, a spirale, e favorisce una costruzione in profondità ed in altezza della nostra personalità credente, facendola tendere ad una pienezza.

Ecco così descritto, per metafora, il liturgico ‘anni circulum’: questo avanzare incessante dei nostri ritmi creaturali e vitali che si concilia con il ritornare perenne di momenti forti, di paradigmi nutrienti, di kairoi (momenti forti e privilegiati) di rinnovamento autentico e di crescita dell’essere. Questo camminare nel tempo ‘ritualizzato’ incide poi nella profondità, è determinante per le convinzioni, è fecondo per la cultura.

In questa prospettiva parlerò dunque dei ‘santuari stagionali’ di santa Maria, che raggiungiamo mediante i ritmi diacronici del celebrare liturgico, nel corso annuale e che ogni anno ritorna, ma che, per chi vive autenticamente l’esperienza dei misteri non ritorna mai sullo stesso piano. Ribadisco che si dà un avanzare apparentemente ciclico, per la imprescindibilità del nostro habitat creaturale, ma con un ‘ritorno’ che si stratifica ‘a spirale’ ascendente. Non è il mero ‘eterno ritorno’ greco, disperante; e nemmeno la pessimistica saggezza biblica del ‘nihil sub sole novi’.

Questo ‘ritorno’ abitato dalla presenza di ‘Colui che era, è e sarà’, è oggettivamente ‘memoriale’ e dispensazione vitale sempre fresca, e, soggettivamente, fonte di crescita e maturazione.

Ogni festa ci è donata, nel dipanarsi dei giorni, allo stesso punto; ma il contatto con la sua carica misterica di grazia sempre più ci edifica, sempre più ci sospinge verso un traguardo di pienezza.

 Ecco spiegato, almeno sommariamente, quanto riguarda il titolo dell’intervento, che per altro sarà limitato alla presentazione delle principali feste di santa Maria.

Quanto cerco di dire da ora in poi completerà - oso sperarlo - alcune delle notizie de delle riflessioni che avete già sentito da altri relatori: o, almeno, offrirà loro un ulteriore inquadramento, un contestualizzazione più completa.

 

Attenzione alle realtà migliori

Innanzitutto dirò che non è da prendere alla leggera il discorso sulla devozione e sul culto alla Madonna. Si può fare della retorica, dell’apologetica e si può fare della storia che glorifica le tradizioni, abitudini, costumi…; si può fare, insomma, del ‘folclore mariano’. Ma noi dobbiamo soprattutto fare della teologia mariana, ed esercitare molto spirito di discernimento. 

Nella vicenda stessa che riguarda i nostri santuari locali possono insinuarsi delle ambiguità, o una errata gerarchia di valori. Lo dico in vista di un lavoro pedagogico – ed è il vostro ideale di operatori – perché sia al massimo grado positivo e illuminante nella sua propositività. Infatti, sempre ed dovunque si possono trovare delle coabitazioni o degli impasti di cose meravigliose e di cose squallide.

    Vi ricordo, per amore di verità, una testimonianza del grande liturgista Jean Leclercq, inserita nel capitolo su ‘Liturgia e devozioni’ del libro ‘La liturgia e i paradossi cristiani’[1]. Il lungo sottocapitolo porta il titolo:  “Grandezza e miserie della devozione mariana nel Medioevo”.

Se egli si riferisce soprattutto al Medio Evo, ciò che afferma vale tuttavia per tutte le epoche della storia. Avete sentito da don Andrea Caelli che anche nel campo della ‘spiritualità’ vige la stessa sorte: vi sono delle forme di devozione splendide e ve ne sono di decadenti o comunque sospette, ed altre addirittura condannate dalla Chiesa.

Pur tenendo per buoni i due termini: grandezze e miserie, aggiungo che si deve interporre quella certa saggezza che consiste nel rinunciare a giudizi perentori, pur nel constatare che nella Chiesa avvengono queste trasformazioni, in termini di decadenza o di progresso. Come possiamo valutarle con equilibrio? 

   Ecco il testo di Leclercq, illuminato e illuminante, pur nella complessità della questione: “Lo Spirito Santo è all’opera in tutti i tempi, e le forme che riveste, in un determinato momento la pietà, possono essere differenti da quelle che rivestirà nelle generazioni successive. Ciò che alcuni considerano come una deviazione, apparirà ad altri come un arricchimento.  Chi ha ragione?   C’è stata una o più età aurea a cui paragonare tutte le altre?” (Punto interrogativo, giusto!.) “E dove bisogna situare questa età? L’archeologo penserà forse su questo punto diversamente dal teologo, dallo storico attento a scoprire l’azione di Dio. Le forme di pietà che si allontanano maggiormente dall’ideale offerto da una grande epoca sono, alle volte, quelle che salvano, in un'altra età, la vita cristiana”.

E continua citando un pensiero di Newman: “ E’ meglio riconoscere che ogni epoca ha la sua grandezza e la sua miseria. Grandezza perché Dio ispira la religione, agisce e ci salva per mezzo suo; miseria perché questa religione corre incessantemente il pericolo che noi la degradiamo in maggiore o minore superstizione”.

Accettiamo anche noi il brivido di questo tipo di doccia fredda…

 

La liturgia maestra

    Per ben impostare un discorso bisogna essere molto avvertiti su questo, per non correre il rischio di lasciarci abbagliare da riflessi ingannevoli.

In presenza di questa problematica che investe molti settori, io non dispongo di tutte le risposte pertinenti, ma posso offrire la risposta dal mio punto di osservazione. Parlo in veste di liturgista, e pongo la domanda: “Quale il criterio per distinguere, nel modo più plausibile che ci è consentito, le grandezze e le miserie?”.

  Ecco: il criterio io lo deduco - e vale anche per altri campi del sapere teologico - da una frase celebre che si trova nell’ Indiculus di Prospero d’Aquitania (è uno scrittore che fu segretario di Leone Magno, e quindi siamo nel secolo V). Nell’opera citata inserì un celebre detto - non sto a dire la storia che lo contestualizza – il quale è diventato quasi uno ‘slogan’ direttivo di una sana teologia: LEGEM CREDENDI STATUIT LEX ORANDI. La regola della preghiera è statutaria per la regola del credere. In altri termini: il contenuto della fede oggettiva, rivelata, quella che dobbiamo accogliere con obbedienza e che si traduce in un simbolo di fede da professare, tutto ciò viene stabilito, confermato, avvallato dalla legge della preghiera ecclesiale.

Ciò significa che la celebrazione con i suoi oggettivi contenuti, il culto autenticamente ecclesiale, e non la devozione soggettiva ed individuale, stabilisce i criteri della vera fede, la gerarchia delle sue verità, il vero comportamento delle prassi che ne derivano. Ora, ciò offre altresì dei parametri per vedere dei valori supremi, dei valori importanti, dei valori relativi[2] e persino i possibili disvalori che epocalmente si possono affacciare. La liturgia offre un punto di orientamento essenziale e di riferimento sicuro. E  parlando di ‘liturgia’ avverto che non va identificata con un tipo rituale, con un orientamento celebrativo peculiare di un’epoca e ben determinato per le sue varianti; mi riferisco al suo nucleo, alle componenti irrinunciabili, alle costanti. Alla liturgia espressione della verità rivelata e dei sui ‘armonici’, garante della fede, luogo del rapporto con Dio nel Tu a Tu con Lui.  Per dirla con un altro autore – vissuto all’epoca del succitato Prospero d’Aquitania: QUOD SEMPER, QUOD AB OMNIBUS, QUOD UBIQUE: esaltazione delle costanti del culto e del suo carattere di Traditio: quello che è da sempre, quello avviene da parte di tutti, quello che ha valore in ogni parte del mondo: ecco la liturgia cattolica per eccellenza, che esprime veramente i tratti imprescindibili della identità della Chiesa. 

    Ecco perché è davvero importante - direi fondamentale - il discorso liturgico per capire anche i valori, le bellezze, le grandezze del culto mariano.

     Con voi farò questo percorso dicendo alcune cose che quasi certamente sapete già; ma è utile averle presenti con un certo ordine; è proficuo individuare una scala di valori. Tanto più per voi che vi disponete a diventare guide di santuari: per osservazioni illuminanti e riflessioni esperte[3]. Infatti il presentare un ‘santuario’ a pellegrini o visitatori è un gesto di responsabilità ecclesiale; non è soltanto un dato di promozione culturale, di accoglienza interessante. Si profila come un momento di rilevanza  teologica e per i credenti come una operazione mistagogica. Bisogna saper presentare il meglio delle intenzionalità di chi ha costruito o lavorato, e poi trovare opportune esplicazioni (o giustificazioni) per quegli aspetti che sono accessori o discutibili o non agevolmente leggibili. Vi auguro di avere, come guide, delle idee chiare sulle varie componenti del ‘mondo’ dei un Santuari (a cominciare dalla loro stessa ubicazione in rapporto agli habitat).

      E arrivo allo specifico del mio tema. Presentare il culto liturgico della Vergine come si è configurato oggi, dopo la riforma del Concilio Vaticano II. Sarebbe interessante e sommamente istruttiva una panoramica storico-eortologica. Ma essa è sottesa alla riforma conciliare, tanto che il dettato e le attuazioni conciliari non ci possono ingannare, quanto alle radici ed alle gerarchie di attenzione utili a valutare gli aspetti del culto della Madonna[4].

      Presento, a questo punto,  due fonti sorgive o due pietre basilari del culto della Madonna come culto liturgico di “sempre” e di “dovunque”. Poiché qui la riflessione è sistematica, non importa – una volta dichiarata e compresa l’interconnessione tra i due poli – partire  dalla Lex credendi o dalla Lex orandi. Pertanto anticipo l’esposizione di un primo suo radicamento in termini di natura dottrinale, in dipendenza di una visione teologica o - ancor meglio – biblica ed in luce pasquale se lo si vuol capire più radicalmente; poi, più ampiamente esporrò l’altro aspetto correlativo, che è quello della prassi ecclesiale e della tipologia mariana nel suo influsso sulla Chiesa di cui ha fatto cenno, concludendo, don Andrea.

  

Le radici teologiche del culto a Maria

A/ Radicamento cristologico-pasquale

 La Vergine di Nazareth è riconosciuta come socia unica e singolare del mistero del Signore Gesù nelle varie fasi della sua rivelazione-dispensazione. Perché?

  §  Perché i cristiani hanno gradualmente capito alcune cose, anche se nel Vangelo c’è appena l’Ave Maria che è il saluto dell’Angelo, la benedizione che Elisabetta ha formulato. E poco altro. Ma i credenti e gli oranti hanno intuito e riconosciuto – anche se non formulato nei termini qui usati - che c’è un fondamento ab aeterno dell’importanza della Vergine. Nella divina predestinazione essa è inclusa come colei che doveva generare il Verbo nella carne umana.

[ Tutto questo ce l’ha ricordato bene Pio IX , quando nella sua bolla “Inefabilis Deus”, ha proclamato il dogma della Immacolata, di cui non c’è testimonianza esplicita nella Sacra Scrittura. Sul privilegio della ‘Immacolata concezione’ si erano scannati i teologi, anche qui nella nostra diocesi, ancora nel Quattrocento: nel Cinquecento avvenivano persino dei rituali di ‘Giudizio di Dio’ tra Carmelitani e Francescani: grandezze e miserie!…]

 La giustificazione di questo dogma è stata trovata nella dottrina antica dei Padri, nella tradizione; per cui Maria è degna di onore, di venerazione, di culto in quanto destinata a generare il Verbo nella carne.

 §  Maria non soltanto “ab aeterno”, ma storicamente partecipa a tutte le proiezioni storiche salvifiche della economia divina, dalle origini (Maria, la nuova Eva) ai singoli eventi biblici, se questi ‘mirabilia Dei’ vengono letti alla luce della Pasqua di Cristo. Così si aprono a nuove prospettive gli annunci profetici, i testi messianici, le tipologie e simbologie varie… I testi liturgici riprendono tutto ciò, ma anche l’iconografia mariana vive di questa linfa allegorica[5].

§  Maria è congiunta in modo singolare e indissolubile con l’opera di salvezza di Cristo nella esperienza dei singoli ‘misteri evengelici’, a cominciare da quello della incarnazione  (con il parto verginale), con il sevizio assiduo e la sequela fedele, l’interiorizzazione della Parola, la cooperazione generosa (cf. Lumen gentium 57), fino alla presenza sul Calvario, dove e consegnata all’umanità, alla Pentecoste come Regina degli Apostoli, e alla gloria pasquale della assunzione corporea in cielo dopo la ‘dormitio’.

 

B/ Radicamento ecclesiale

 Coerentemente a quanto appena accennato, si deve considerare la radice ‘ecclesiologica’ della presenza di Maria nell’hodie dell'Anno liturgico. Se infatti il Mistero di Cristo comprende, nella sua pienez­za, tutti i redenti‑credenti, al suo cuore si trova la ‘credente’ per eccellenza e coinvolge la Sposa santificata dallo Sposo (Ef  5, 22‑30). Nel dispiegarsi attuale del ‘Mistero’ nell’anno liturgico la Chiesa, mentre viene continuamente edificata e santificata, scopre pure ad ogni tappa celebrativa la figura ‘tipica’ di Maria, si comprende come da Lei ‘rispecchiata’, si sente a Lei variamente congiunta e vitalmente modellata.

 §  Nella sua ‘preistoria’, anzitutto. Poiché pure la Chiesa, di cui Maria è il tipo, è Ma­dre dei viventi, è nuovo Israele erede della Figlia di Sion, è Dimora dell'Altissimo, è Città per tutti i popoli… Queste profezie non sono rimaste incompiute; non sono state cancellate dalle molte ‘infedeltà’ umane alla divina Alleanza. Esse sono divenute realtà mirabile in Maria, che è da un lato la ‘plenitudo Israel’ e, dall'altro, ‘l’initium Ecclesiae’.

 §  Nella sua nascita la Chiesa ha rapporto con Maria, la quale non ne rappresenta solo l’initium, ma ne è, contem­poraneamente, ‘Madre’. La ‘Mater Ecclesiae’ viene rivelata, soprattutto, dall’Ora culminante del mistero pasquale. Tale è il senso dei testi di Gv 19, 28-34 (la scena del Calvario) e di At 1, 13‑14; 2, 1‑4 (Cenacolo e Pentecoste). Ma già nel volto pasquale del Natale del Signore è celebrata l'origine del popolo credente. Giova ricordare, in questa luce, l’espressione di san Leone Magno: “Generatio Christi origo est populi christiani, et natalis Capitis natalis est et corporis” (Sermo 6 in Na­tiv.).

La liturgia rimemora spesso questo tema.

 §  Nella celebrazione del culto nuovo, inoltre, santa Maria pre­cede la Chiesa con l’intensità dei suoi carismi di Vergine, di Sposa, di Madre. Si leggano, sul tema, le affermazioni di papa Paolo VI nella lettera Marialis cultus (n.16), ove è riferito il tema della esemplarità di Maria nei confronti della Chiesa che celebra i divini misteri. Vengono richiamati gli atteggiamenti fondamenta­li del vero celebrare: Maria è la Virgo audiens, la Virgo orans, la Virgo parens, la Virgo offerens. Si può aggiungere: la Virgo ‘expectans’, la Madre della speranza, del non ancora compiuto, del domani, di quello che deve ancora venire: la Madonna dell’Attesa. In questa ottica nasce la devozione del Sabato, che fu  il giorno del silenzio di Dio. Cristo era morto; Dio non gli aveva risposto quando dalla Croce gridava: “Perché mi hai abbandonato?”. Era calato il silenzio sulla tomba. Ma nella vigilia della sabbatica della nuova Pasqua Maria veglia e attende, crede contro ogni speranza, contro ogni evidenza nella fedeltà di Dio, finché non è premiata dall’alba della Risurrezione. Ecco il vero perché di Santa Maria in Sabbato[6].

 §  Ma non si tratta di paradigmi statici, posti ‘fuori' della compagine ecclesiale: questi sono la forza dinamica intrinseca alla stessa Ecclesia orans. Nel celebrare litur­gico, ogni giorno dell’anno, la Chiesa pellegrina si asso­cia alla Vergine già glorificata, che è nella Chiesa e con la Chiesa,mentre la Chiesa si sforza di essere come Maria[7].

§  Ancora: proiezione escatologica: la Vergine è ‘consummandae Ecclesiae imago’. In Maria la Chiesa esalta e contempla tutto ciò che desidera e spera di essere. Maria è anticipazione dalla sorte dei credenti nel compimento della vicenda umana.  Per questo aspetto invito a leggere l’ultimo capitolo della Costituzione conciliare  Lumen Gentium.  E’ bellissimo, al proposito, il prefazio della Madonna Assunta: Colei che si muove e muove tutti noi, ci accompagna verso la pienezza. Dietro di Lei e con Lei camminiamo verso la pie­nezza dell’eschaton.

L’anno liturgico, con le sue feste, si colora di questa dimensione ‘mariana’ come un ‘currere post eam: in odorem unguentorum suorum”. Ecco una immagine biblica che viene evocata dalla LH dell’8 Dicembre. Si tratta di intuizione teologica assai più ancora che di una citazione allegorica, a sfondo retorico‑devozionale.  Per cui, quando cantiamo l’antifona mariana tratta dall’AT., dove suonava con tutt’altro senso, acquista un altro e più vero valore significativo: il camminare con Lei (la Vergine della ‘strada’), al profumo delle sue virtù, nell’attesa del Signore.  È il ‘pellegrinaggio’ fondamentale della Chiesa e di ciascuno.

 

Cenni circa l’evoluzione del culto mariano entro l’anno liturgico

      Questi sono i motivi per cui la Chiesa ha pregato Maria, e possono bastare le nostre pur schematiche enunciazioni per rendere piena ragione alle attenzioni cultuali dedicate dal­la Chiesa a Maria di Nazareth.

Un culto che da forme sobrie iniziali diviene sempre più ricco, in misura della interiorizzazione delle motivazioni, e della esperienza di ‘crescita’ nella meditazione della fede e nell’amore.

Il culto mariano ha mostrato belle fioriture già dal sec. V, per arricchirsi enormemente nel Medio Evo, fino alla esplosione in età moderna. 

   Come osservazione generale: nel dispiegarsi dell’anno liturgico, che è la celebrazione del mistero di Cristo, ogni tappa celebrativa coinvolge sempre Maria.  In Occidente figura questo dato figura un poco meno che in Oriente; era tuttavia molto più presente questo nelle chiese gallicane e spagnole, e nelle altre liturgie antiche come quella milanese. In Oriente non c’è una preghiera liturgica in cui non sia evocata anche la “Theotokos”. La madre di Dio è sempre presente, sempre associata al mistero di Gesù Cristo. Pensate all’iconografia antica, recepita anche in Occidente: il Cristo Pantokrator con ai lati Maria e il Battista.  Proprio le figure cerniera dell’ A.T.: Maria che ha generato il Cristo; il Battista che indica, presenta l’Agnello di Dio. Ricordiamo il catino absidale della Basilica di S. Abbondio nella nostra città vescovile di Como. La Madre è indissociabile dal Figlio.

Ancora nell’arte fino al 1500, vedete sempre la Madre col Figlio, non vedete mai una Madonna da sola. Solo in seguito il Figlio scompare. Ricordate quello che ho detto a proposito della spiritualità: nella liturgia si costata qualcosa di analogo. Ma quello che capita nella spiritualità, era conseguenza di quello che capitava nella Liturgia, quando è incompresa o mal praticata. Nella misura in cui i piloni portanti della Liturgia erano minacciati e le sue mura venivano destrutturate ne risentiva il popolo cristiano. Lo si vede negli stessi influssi derivati sui movimenti spirituali, col rischio di portare a dissesti di natura dottrinale eppure a enfasi che, se sembravano buone, producevano una devozione retorica o enfatizzavano frammenti di verità oscurando l’armonia e l’equilibrio dell’insieme[8].

 

La riforma del Calendario liturgico in seguito al Concilio Vaticano II

     Un determinante riforma dell’anno liturgico è avvenuta con il Concilio Vaticano II; come una grande ripulitura, una grande revisione, anche nel settore mariano.

    Qualcuno ha rimpianto delle perdite, ecc…. Mi viene in mente una barzelletta tratta dalle labbra del benedettino dom Bernardo Botte, grande liturgista belga che è morto un po’ di anni fa. Diceva, scherzosamente, prima del Concilio, che il Papa avrebbe dovuto inserire nel Messale un Commune, cioè un solo formulario di preghiere che valesse per tutti i titoli dati al ‘Cuore di Maria’: Aveva contati 20-25 varianti tra ‘Cuori addolorati’ e ‘Cuori immacolati’, come emblemi di  movimenti che avrebbero voluto la loro ‘specifica festa’.  E diceva: “Dobbiamo istituire delle date festive per tutti questi cuori?  Ce ne ha uno solo la Madonna! Se si vogliono conservare le varianti si faccia però almeno una Messa comune, altrimenti ci produrrà una ‘crisi di alloggi’ nell’anno liturgico; non ci sarà più spazio per celebrare il Signore”.

    La riforma liturgica era necessaria ed ha toccato il calendario universale, al quale ha dato un nuovo assetto e, di riflesso, ha toccato anche i calendari locali i quali sono normati da principi suggeriti appunto dalla Congregazione del Culto. Essa ha ridimensionato molte cose, che magari a noi possono dispiacere. Alcune date del culto locale sono state salvate, altre sono scomparse. Poco fa don Ugo ricordava che le antifone della Madonna di Tirano in quanto attestazione di accorre di pellegrini, e poi del fatto che quando c’erano degli incendi, la Madonna li domava. Sono tutte belle cose, ma non sembrò conveniente dare nuovo impulso a tutte queste memorie, le quali molte volte scadevano nell’episodico e rischiavano di far dimenticare valori più grandi. Se è vero che la Madonna interviene, che ha fatto miracoli, non è però necessario ricordare tutte queste vicende per dare appoggio al culto ed accendere ogni festa. E questa è una valutazione ‘possibile’, forse necessaria per l’oggi: non è detto che sia infallibile!    

      Occorreva comunque, uno sfrondamento piuttosto deciso. Ed è stato conservato il meglio del dogma e della tradizione cultuale mariana.

 

 In concreto quale sistemazione dell’anno liturgico ne è risultata? Ma intanto, ancor più basilarmente, qual è la struttura base dell’anno liturgico?

 Dobbiamo distinguere vari cicli: chiamiamoli così, provvisoriamente.  Uno è il ciclo del Tempo che è quello legato alla Pasqua, al mistero di Cristo, al tempo ‘lunare’, alla domenica, a partire dalla domenica pasquale.      

Poi c’è un ciclo ‘Santorale’, che è a data fissa, secondo il calendario solare.

 §  Il ciclo temporale presenta feste ‘mobili’: cambia la data della Pasqua e delle feste che vi sono collegate, perché va secondo la luna; invece il santorale presenta feste ‘fisse’, legate al giorno preciso nei dodici mesi (come l’Assunzione che è sempre il 15 agosto).

 §  Vi è poi un ciclo settimanale, a cui ho già fatto accenno prima, a partire dalla Domenica (giorno primo ed ultimo) fino al sabato: il lunedì è pertanto liturgicamente detto Feria II, il Martedì Feria III, ecc..

 §  Un ciclo quotidiano vede realizzati i vari momenti di celebrazione li­turgica: l’Eucaristia e le Ore. Anche a questo livello bisogna discernere i veri momenti di scansione di una celebrazione mariana dal volto ecclesiale pre­sente in tutti i giorni, compresi quelli feriali. Nella Messa l’apice è la memoria di santa Maria che avviene durante la Preghiera eucaristica; nelle Ore è il cantico ve­spertino del Magnificat. La pietà popolare, pienamente sostenuta dal magistero, aggiunge la pratica dell’Angelus corrispondente, per ora­rio e per struttura celebrativa, a tre momenti‑cardine dell'Ufficiatu­ra diurna. E, se si vuole, si consideri il Rosario come corrispondente ad un Ufficio di lettura di carattere popolare.

§  Possiamo infine ipotizzare anche un ciclo, per così dire, ‘esistenziale’ che riguarda la storia, la vita, la cultura dei vari gruppi umani, ma si inserisce nel calendario praticato. Qui mettiamo dentro pure tutte le apparizioni, tutte le devozioni che sono nate e che si coltivano nei nostri Santuari o nelle nostre case.

      Ciò che importa è ben comprendere che esiste e che deve essere rispettata una gerarchia tra tutto ciò, perché sono in gioco (lo si ricordava all’inizio) il corretto annuncio pubblico della fede e gran parte dell’immagine che la Chiesa offre al mondo di sé stessa. Il che comporta il dare valore alle realtà primarie e subordinare invece quelle secondarie.

 Ed ancora, proprio per favorire una ‘gerarchia’ tra le date festive entro i cicli così ben definiti e stabiliti, la riforma liturgica ha previsto una nuova assegnazione dei ‘gradi’ di solennità o di festa, che riguardano l’intensità e l’obbligatorietà degli elementi celebrativi da mettere in campo. Troviamo del tutto naturale che un compleanno di 25°, ad es.,  si celebri più festosamente di uno di 22°.

     In questa prospettiva vi sono delle scadenze, dei momenti che la riforma liturgica ha denominato ‘solennità’.  Vuol dire che lì si celebra la Pasqua del Signore, si celebra il mistero di Cristo, anche se riflesso in un privilegio, in un titolo della Madonna. Tanto che se ricorresse una Domenica (giorno del Signore e fondamento e carine di tutto l’anno) gli elementi celebrativi della Domenica cedono spazio a quelli della ‘solennità’. Poiché la domenica, come sapete, è la festa primordiale,  in questo giorno il Cristo è celebrato alla luce della mediazione mariana, solo poche volte lungo l’anno liturgico. Tuttavia le solennità mariane costituiscono dei punti cardine; rappresentano quello che non possiamo e non dobbiamo tacere di Maria, perché raggiunge il cuore della fede.

 

A/ Le solennità

 §  In ordine  calendariale liturgico (l’Anno del Signore inizia con l’Avvento) la pria che si incontra e quella della  Immacolata Concezione (8 Dicembre), anche se è l’ultima storicamente entrata come festa solenne[9].

 §  La seconda solennità è quella della divina Maternità di Maria, celebrazione antica e di primario valore, che era stata miseramente dimenticata. Il più grande titolo di Maria, la ‘Theotokos’, Madre di Dio, era celebrato come memoria devozionale, l’11 ottobre; mentre nella genuina tradizione romana, si inseriva nell’Ottava del Natale. Il Capodanno è dunque la più grande solennità festiva in onore di Maria: Essa è celebrata come Madre accanto al Figlio. Sempre quando nasce una creatura si fanno i complimenti, si celebra la Madre.  Tale prospettiva non è ancora capita, non è ancora entrata nella mentalità popolare, anche perché , c’è il Capodanno dopo il Veglione, c’è la Giornata della Pace… Sì, la Madonna la si tira dentro di striscio, perché il suo nome figura su qualche calendario o in qualche preghiera del messale. Mo con ciò il culto mariano rischia una nuova gravissima ‘menomazione’[10].   

§  Poi viene l’Assunta, il 15 Agosto: si magnifica il Signore per la realizzazione della pienezza pasquale in Maria. L’inizio era l’Immacolata, l’esito è l’Assunta. Tra i due privilegi era la celebrazione della divina Maternità che li fonda e li giustifica.

 §  Ancora, se vogliamo, possiamo includere, tra le solennità mariane - anche se è presentata -  e giustamente - dalla Riforma liturgica come celebrazione ‘del Signore’, il 25 Marzo. Normalmente si dice l’Annunciazione: a ricevere l’annunzio è Maria, ma l’Annunciato è Gesù Messia. Dunque festa del Signore, perché il Verbo che si fa carne, Verbum caro factum est.   E’ Lui il protagonista anche se nascosto; il “sì” decisivo è quello del Figlio del Padre, prima di quello di Maria. Leggete i testi liturgici, particolarmente questo (dall’AT ma già utilizzato dalla Lettera agli Ebrei): Il Verbo eterno dichiara al Padre: “Tu non hai voluto offerte e sacrifici per il peccato, mi hai dato un corpo e io dico: - Ecco vengo a fare la tua volontà.”.   Il sì della salvezza, l’assenso alla Incarnazione come kenosis (assunzione della forma di servo).  Naturalmente questo ‘servizio’ si compatta, si armonizza, si sintonizza con quello che Maria si appresta a svolgere mediante il suo sì; predestinata a questo, resa immacolata per questo, aiutata dalla grazia dello Spirito per questo, è stata in grado di rappresentare tutti noi nell’aderire alla proposta di grazia, di redenzione. Tutto ciò è importante, perché il mistero dell’Annunciazione, come quello del Natale, e forse ancora più di quello del Natale, fa vedere il senso della redenzione, il senso della maternità di Maria, prima ancora che appaia in carne umana il Signore. Essa (rovesciando il nome di Eva!) aderisce al piano di Dio, e consisterà nella nuova ed eterna alleanza, dalla quale nascerà un corpo, una famiglia universale, abbattendo tutti i muri di separazione. Tutto incomincia in quel momento, con l’intreccio nuziale di quei ‘sì’.  Ecco il senso di questa solennità, che dalla gente è pensata come mariana e giustamente, se completata con la prospettiva esposta.

 

B/ Le feste

     La Riforma ha disposto due giornate di ‘festa’, - o diciamo pure tre, e in seguito dico il perché.   Festa indica e comporta una celebrazione minore di quella della solennità. Si tratta di un ricordo vivace, ma un poco più dimesso, dal momento che il suo oggetto è importante, ma non così determinante per il dogma e per i fondamenti oggettivi dell’esistenza. Liturgicamente sono proposti elementi di annuncio e di segni di minore corposità. Ad es., le solennità comportano sempre tre letture, esigono il canto del Gloria e del Credo, sono corredate di inni propri, di antifone proprie, ecc.; tale apparato festoso nelle feste ha minore consistenza. Noi abbiamo pianificato tutta la liturgia; ma la solennità è solennità, è un santo strafare, è il massimo dell’ingaggio, si vive ad altissima tensione; la festa poi si vive pure con luminosità ma è alimentata da una tensione minore. La liturgia è ‘sanamente antropologica’ nel proporci ritmi e impegni.

  §  In concreto abbiamo la festa della Natività di Maria , l’8 settembre e la festa della Visitazione di Maria che è stata portata al 31 maggio. Perché al 31 maggio mentre tradizionalmente era fissata al 2 luglio?  Il motivo del trasferimento di data dipende dal fatto che il 24 giugno si celebra la nascita di Giovanni il Battista, il precursore. Ora sappiamo che la Madonna si recò a trovare la cugina ‘annosa’ quando Elisabetta aspettava il Battista. L’angelo Gabriele aveva annunciato anche ciò. Pertanto, per una maggiore fedeltà al succedersi degli eventi narrati dal Vangelo la Visitazione e stata collocata opportunamente il 31 maggio. Un mese dopo questo incontro avverrà la nascita del Precursore, Giovanni Battista.  Al 31 maggio era stata collocata la memoria di Maria Regina, da parte di Pio XII. Non è che essa sia stata abolita. Ma ha subito uno spostamento la cui logica è ben intuibile. Si celebra, con la Riforma liturgica, otto giorni dopo l’Assunzione. L’ottava dell’Assunta diventa così celebrazione della regalità della Vergine incoronata.

Questo esemplifica alcuni degli intelligenti criteri usati nell’assetto del nuovo Calendario.

Tornado alla Visitazione, voglio ricordare che si tratta di un ‘mistero’ molto importante, perché incontriamo la Madonna del Magnificat, dell’annuncio messianico, del Vangelo, della danza nuziale provocata dallo Spirito Santo, il quale infonde una esultanza prenatale all’amico dello Sposo. È qui che esplode il Vangelo, che incomincia il suo canto, che irradia la sua gioia. Elisabetta non ne può più, ed esclama: “Benedetta sei tu!” mentre Maria erompe nel Magnificat, che è il cantico per eccellenza della Chiesa: dall’VIII secolo sempre, al Vespro, risuona questa benedizione. Quindi una festa assai importante in rapporto alla storia della salvezza.

   §  Poi potremmo continuare ad intendere come festa della Madonna – così fece per secoli il popolo e  continua a pensare anche se oggi essa è dichiarata festa del Signore, quella che fa memoria della Presentazione di Gesù al tempio e cade il 2 febbraio, a quaranta giorni dal Natale.  La nostra gente pensa sempre alla Candelora, alle candele con la decalcomania mariana, e venera la Madonna. In ciò è debitrice di una lettura non sbagliata, ma riduttiva, perché il sottofondo resta quello della ‘Purificazione di Maria’, divenuta modello di una prassi giudaica filtrata nel cristianesimo medievale (con un cattiva visione già a livello antropologico) che giustificava la ‘benedictio mulieris post partum’. (Altro esempio di una ‘miseria’…). La ‘grandezza’ sta nel riportare l’attenzione su Gesù, il quale si rivela come consacrato al Padre e come Vittima sacrificale, a Gesù che adempie a tutti i sacrifici antichi.  Il Tempio non ha più la sua funzione antica, oramai, perché è visitato dal Signore, nuovo Tempio, nuovo Sacerdote, sola Vittima gradita. Ed è pure la festa che apre altre magnifiche prospettive della novità evangelica; il termine di Israele e l’inizio di questa storia, lo splendore inestinguibile della Luce nuova che, a quaranta giorni da Natale quando illuminò la notte, adesso sfolgora, recepita nel cuore dei poveri che attendevano, dei giusti mossi dalla Spirito. Infatti si affacciano sulla scena Simeone ed Anna, i due anziani rappresentanti di Israele e della sua attesa. Una storia si spegne e un giorno nuovo senza tramonto albeggia. Simeone canta: “Cosa importa ormai morire?  Io posso morire in pace, perché i miei occhi hanno visto la luce”. Ecco il compimento! Non ci sarà più notte per chi lo riconosce e lo accoglie”.

 

C/ Memorie obbligatorie

     Il calendario propone 4 memorie obbligatorie. Sono giorni di proposta spirituale nutriente, tonificante, come un rifornimento, come un sorso d’acqua fresca in un assolato cammino.

 §  Si tratta dei misteri di Maria Regina, nell’ottava dell’Assunta, di cui si è già trattato sopra; e di santa Maria Addolorata, la quale, per l’importanza della sua presenza sul Calvario alla Crocifissione e alla Deposizione (la Pietà!) è dedicato un ricordo particolare, dato che il Venerdì santo essa, pur presente nella liturgia, non invade la scena. Questa devozione molto diffusa tra il popolo, soprattutto nei tempi recenti. La festa obbligatoria per tutti (ma già celebrata dal sec. XII da parte di Chiese locali e di Ordini religiosi) fu promulgata solo nel 1721 da Benedetto XIII.  Ma da quel momento ebbe una grandissima rifioritura popolare, soprattutto da parte della predicazione degli ordini religiosi. Tanto è vero che anche dal punto di vista musicale il ‘700, la seconda metà, è l’età degli Stabat Mater, come poi tutto l’ottocento. Prima di allora era musicato pochissimo: gli esempi polifonici sono rari come le mosche, ma dopo lo Stabat Mater diventa il grande canto che assume grandiose forme, icone sonora del pathos del cuore cristiano che si colloca con la Madre davanti al mistero del Crocifisso[11].

 §  La terza memoria, datata il 7 Ottobre, celebra la Madonna del Rosario. Il titolo del Rosario per antichi motivi di devozione, ma soprattutto dopo la vittoria di Lepanto conto i Turchi (7 ottobre 1571), ha acquistato grande popolarità, anche per la valorizzazione del rosario che ne fece il papa Leone XIII[12]. Non si poteva non tenere conto di tale popolarità e di tanto magistero. Il Rosario, in fondo, non è una preghiera alla Madonna. Noi non diciamo il Rosario ‘alla Madonna’.  Esso, nella sua genuinità, è la meditazione dei misteri di Cristo fatta con Maria, possibilmente con i suoi occhi e con il suo cuore.  Con Lei, salutandola e invocandola, si ripercorro le tappe del mistero di Cristo incarnato. Anche l’Ave Maria che lo ritma ha la sua espressione apice quando si dice: ‘Benedetto il frutto del tuo ventre, Gesù!’. E’ meditazione dei misteri di Cristo. Tanto è vero che perfino durante l’apparizione di Lourdes si dice che la Madonna sgranava la corona. Naturalmente essa non diceva l’Ave Maria, non lodava se stessa, ma pensava ai misteri di Cristo, mentre Bernardetta la lodava: insieme evocando i 15 quadri (Misteri)  assimilavano tutto il concentrato del Vangelo. Come il Rosario non è una preghiera mariana in sé, anche se è imbastito di Ave Maria, così la memoria liturgica del Rosario è orientata a farci riscoprire familiarmente i cammini dell’Incarnazione, della Passione, della irradiazione pasquale. Il Rosario è’ una di quelle grandezze del Medio Evo che vanno capite bene, soprattutto dopo i molteplici travisamenti che ha subito.

 §  La quarta memoria, il 21 novembre evoca la Presentazione di Maria al Tempio.   Anche di essa e delle sue travagliate vicende si è già fatti cenno. Oggi resta come unico esempio di celebrazione di un fatto che si basa su un racconto apocrifo. Una corretta linea liturgica in genere non ama e non  conserva questi tipi di feste, né dona importanza  a simili eventi. Ma questa memoria, anche se storicamente discutibile, è molto bella. Nell’intuito della fede si comprende la ‘convenienza’ dell’affermare una dedizione della Fanciulla di Nazareth al Signore, come preparazione a ‘sposarne’ incondizionatamente il volere. Ricorda la grazia originaria dell’orientamento di Maria alla Redenzione, cui corrispose ad un certo momento la sua libera disponibilità. Essa fu dunque tutta e sempre per Dio, fin da fanciulla, dall’età di ragione. Ho ricordati antecedentemente che Maria è ‘liturga’ per eccellenza; in questa prospettiva si scopre la convenienza che viva al Tempio, nel luogo della parola di Dio, della preghiera, del canto, ecc… E’ alla luce di simili considerazioni che è stato plausibile conservare la memoria obbligatoria.

 

D/ Memorie facoltative

       La Riforma del calendario ha assegnato il grado di memorie facoltative a quattro eventi ecclesiali o spinte devozionali. In questi giorni il prete che dice l’Ufficio, o che presiede una Assemblea eucaristica, se lo ritiene conveniente, ricorda questi dati, altrimenti lascia perdere. Non si tratta di una prassi obbligatoria. Anche ‘celebrativamente’ esiste ha soltanto una Colletta per la Messa, e per la Liturgia delle Ore una eventuale lettura.

   Queste memorie facoltative sono:

 §  L’Apparizione di Lourdes (11 febbraio), che la riforma ha conservato a motivo della l’importanza di questa devozione, di questo santuario, metà di incessanti pellegrinaggi e di divini favori; inoltre la memoria è collegata al fatto della definizione dogmatica del privilegio della Immacolata Concezione: con questo titolo la Madonna si presentò poco dopo a Bernardetta.  Però capite, tutto ciò deve rimanere al suo posto nella scala. Quando si dicesse in una parrocchia: “Il cuore di questa comunità è la Grotta della Madonna”, eh, no, adagio!.  Sarà bella, sarà importante, sarà folcloristica, sarà commovente. Ma c’è ben altro prima, se non si vuol offendere la Madonna stessa e se si intende per educare la gente.  Quando si sanno bene i dogmi, allora anche nella pastorale si va avanti: nel caso contrario si retrocede. Ci sono dei paesi in cui la memoria della Madonna di Lourdes è enfatizzata, mentre il 1° gennaio, la Maternità, niente, neanche un ricordo se non l’esecuzione rituale dei testi di un libro sacro.

 §  Altra memoria facoltativa è quella della Dedicazione di Santa Maria Maggiore, più nota come Madonna della Neve (5 Agosto). La memoria antica della Dedicazione della prima basilica alla Madre di Dio, con la memoria del Presepe,  ben meritava una sottolineatura liturgica, almeno a Roma: così come c’è la dedicazione del Laterano, la basilica del Salvatore, e quella di S. Pietro e Paolo. Meno attenzione meritava la leggenda diffusasi in seguito, della nevicata sul colle Esquilino, per delineare la pianta dell’edificio mariano. Popolarmente è capitato il contrario. Il ‘titolo’ del giorno torna ad essere ‘Dedicazione’, come festa del Signore, perché ogni tempio è suo e per Lui anche e soprattutto là  dove si aggiunge il ricordo di Maria. 

Qui in Valtellina è il titolo della ‘Neve’ che è un elemento di casa, ha prevalso per cui esistono vari i santuari eretti  specialmente nel ‘500-‘600. Tuttavia in qualcuno di essi restava il collegamento con la Basilica dell’Esquilino. Fino a 40-50 anni fa era sempre presente, al mio paese di Chiuro,  il ricordo di Cristo, del suo presepio ed in definitiva della Theotokos acclamata nel concilio di Efeso. Nel santuario (eretto dopo la visita di san Carlo ad una preesistente chiesetta mariana dedicata a Santa Maria della Verità)[13], nell’ultimo altare in fondo, che adesso è dedicato a san Francesco di Paola, c’era il presepio. Due ante del paliotto dell’altare si spalancavano: ancor oggi si può vedere il fondale dipinto della scena che veniva aperta non solo a Natale. Ho insistito col prevosto che sia riattivato, perché è giusto; questo è riportare alle origini teologiche, storiche e filologiche.

    §  Ecco ancora la memoria facoltativa della Madonna del Carmelo (16 luglio), pure lasciata sopravvivere e lasciata alla libera scelta a motivo delle pie tradizioni diffuse dai Carmelitani (piuttosto vive nelle nostre terre).

 §  In fondo il Cuore Immacolato di Maria. Il titolo di ‘Cuore Immacolato’ è il più diffuso ed è collegato a numerosi ordini religiosi e congregazioni. La sua data varia, ogni anno, perché attualmente è legata a quella mobile della solennità del Sacro Cuore di Gesù, mentre prima era stata fissata, da Pio XII, al 22 Agosto (il giorno che ora prevede Maria Regina). Il Sabato che segue la solennità del Cuore di Cristo (II settimana dopo Pentecoste) sembrò ed è effettivamente il più opportuno per offrire l’occasione di onorare il Cuore della Madre di Gesù che tante tenerezze riversò sul Figlio e che fu scrigno della Parola di Dio. Invece, tra le celebrazioni mariane che oggi non figurano più nel calendario generale si possono ricordare: la Maternità di Maria (11 ottobre), la Madonna della Mercede (24 Settembre) il Nome di Maria (12 settembre).

Inoltre sono state cancellate più di venti altre memorie mariane che figuravano come possibili pro aliquibus locis.

 

Il Calendario diocesano

Sono tre le memorie mariane particolari della nostra Diocesi:

 §       Il ‘Santo nome di Maria’. La festa dell’onomastico aveva origini spagnole, ma venne istituita del papa comasco beato Innocenzo XI nel 1683, dopo la vittoria viennese contro Turchi. Fu abolita dalla recente riforma, come doppione della Natività (8 settembre), ma venne reintrodotta a Como (a Milano era sempre presente, ed anche nell’area germanica fu territorialmente mantenuta) in occasione del III centenario della marte di papa Innocenzo (1989). Si celebra il 12 settembre.

 ·  Il 30 settembre ricorre il ricordo della Apparizione della B. V. di Tirano, che si mostrò il 29 settembre 1504 a Mario Omodeo. Per la Valtellina ha il grado di ‘festa’, e quello di ‘memoria’ per tutta la Diocesi. La Madonna di Tirano è patrona della Valtellina e compatrona della Diocesi.

 §       L’Apparizione avvenuta a Gallivaggio nel 1492 viene ricordata 10 ottobre, con la memoria sotto il titolo di ‘Maria Madre della Misericordia’.

*    *    *    *

Questo è il quadro che rappresenta l’esito della riforma del Calendario liturgico. Ed io mi fermo qui, per necessità, anche se molte cose resterebbero da dire.

 Auguro a tutti di poter essere magistrali guide per i visitatori dei Santuari che costellano la nostra nobile terra; ma vi auguro, soprattutto, di essere sapienti pellegrini nei percorsi a noi offerti in ogni  Anno di grazia che ritorna. Essi ci mettono in contatto non con le splendide architetture e con delle sacre effigi, ma in comunione con la potente realtà dei misteri di Cristo; e ci fanno sperimentare la carezza della Misericordia materna di Maria. Da questa esperienza il vostro ‘magistero’ risulterà trasfigurato. 


[1] Edizioni Paoline, Milano 1967, 186-223. Oggi il libro non è più in commercio.

 [2] Per esemplificare si pensi alle stesse denominazioni dei Santuari: alla prima grandezza (oggettivamente parlando) di un Santuario della ‘Assunta’, alla relatività di una ‘Madonna di Loreto’ o della Neve, e alla estrosità  di una ‘Madonna degli alpini’.

 [3] Si applichi questo criterio, ad es., al giudizio da trasmettere sui ‘contenuti iconografici’ dei santuari. I dati evangelizzanti devono prevalere sulle pur importanti valutazioni di natura ‘estetica’.

 [4] Ogni riforma è stata eseguita secondo il mandato della Sacrosanctum Concilium, previa uno studio biblico, teologico, patristico, storico, rituale… fatto da équipe di esperti internazionali.

[5] Qui entra anche il discorso della Tradizione di fede.  Sapete che non è soltanto la Scrittura la fonte della fede, ma anche la tradizione, soprattutto attraverso la categoria che si chiama la tipologia. Essa consiste nel ravvisare nell’Antico Testamento delle figure, degli eventi, delle persone che sono provvidenzialmente interpretati come proiettati in avanti, profeticamente orientati a dire, ad anticipare gli eventi del Nuovo Testamento. Per cui nell’A.T, troviamo i cosiddetti tipi, nel N.T. gli antitipi, cioè le corrispondenze.

      La Chiesa ha sempre lottato, fin dagli inizi, per l’unità dei due Testamenti; non sono due economie, non sono due storie, ma è un’unica storia provvidenziale che si svolge per tappe.  Ogni cosa che Dio fa non è soltanto un elemento puntuale che si esaurisce, ma è sempre anche un elemento profetico, che rivela i ‘costumi’ divini. E quello che Dio oggi fa lo farà ancora, e facendolo ancora lo compirà più prodigiosamente; e quanto più si va avanti tanto più Dio perfezionerà la sua opera.   Ora basandosi su questa certezza della unità/continuità dell’AT col NT, troviamo già nel I secolo la tipologia essenziale, che deriva da san Paolo: Adamo/Cristo. Sarà applicata a Maria da sant’Ireneo. Maria è vista come antitipo di Eva, perché Cristo è il nuovo Adamo.  Ma se Maria è la nuova Eva, il racconto della Genesi che riguarda la progenitrice mitica del genere umano, ma riguarda pure la donna, quella di cui parlerà anche l’ultimo libro, l’Apocalisse: la donna che è insidiata dal drago che però è vittoriosa. Essa è Maria (tipo a sua volta della Chiesa). I Padri insistono su questa nuova madre dei nuovi Viventi accanto al Signore Gesù, la quale rovescia la logica del peccato, ripara la disobbedienza di Eva: Tant’è vero che Sant’Ambrogio (non so l’avete puntualizzato quando cantiamo l’Ave, maris stella) ha quella bellissima frase: “sumens illud ave, Gabrielis ore,” (ricevendo quell’ave dall’arcangelo Gabriele), “funda nobis pacem, mutans Evae nomen”.  Ave è il contrario di Eva.. Ricevendo l’ave, dicendo di sì all’annuncio di Dio, ha capovolto la logica della disubbedienza  di Eva.  E’ bellissima questa intuizione poetica che esprime in un modo lirico quanto già Ireneo e altri Padri avevano affermato.  Questo è uno dei casi di tipologia.  Ve ne sono alcuni altri fondati sulla Scrittura stessa.     

        La Chiesa però ha preso molta confidenza con la Sacra Scrittura; la parola di Dio è il suo nutrimento, il nutrimento la fa crescere; l’ha adottata come un suo linguaggio, come un codice linguistico, per cui, oltre la tipologia in senso stretto, la Chiesa ha sviluppato questo rapporto tra Maria e l’A.T., con altri procedimenti, soprattutto con l’allegoria oppure anche con un senso accomodatizio che è molto più libero, molto più fantasioso, e però dice la verità perché è inserito in un  contesto di fede e di preghiera. Pensate, per esempio, alle ‘figure’ mariane individuate in Anna, in Giuditta, in Ester, in Myriam sorella di Mosè, nell’almà, la fanciulla indicata dal profeta Isaia ad Acaz cone ‘segno’; poi ai titoli delle litanie della Madonna: Turris davidica, Turris eburnea, Foederis arca, Ianua caeli.  Sono tutte allegorie, cioè sono fatti, dati dell’A.T. che evocano, che richiamano, che possono essere applicati a Maria stessa; Maria è riconosciuta in queste istituzioni e l’arte se ne appropria e raffigura simbolicamente questi titoli. Alcuni sono molto seri, alcuni sono un po’ fantasiosi un po’ arrischiati se vogliamo, ma nella logica della fede sono veri.

      I Padri della Chiesa hanno una caratteristica strana: poter usare delle affermazioni criticamente discutibili, se stiamo al senso ‘letterale’ affermando però la verità. Supponete, la verità della verginità della Madonna, così fortemente sostenuta da alcuni Padri, supponiamo san Gerolamo contro Gioviniano.   Ora, per esprimere liturgicamente questo dato della verginità e proporlo popolarmente che cosa vanno a scomodare? Non lo diceva già il Signore nell’A.T.? Certo! Ed ecco l’episodio del roveto ardente.  Lo cantiamo sempre nelle ufficiature di Capodanno “Rubrum quem viderat Moysis incombustum”: quel roveto che bruciava senza consumarsi sotto gli occhi di Mosè, lo vediamo realizzato nella tua mirabile verginità. E tu,  o Madonna, e tu prega per noi.  E’ un’antifona che ancora mia nonna cantava a memoria, a Chiuro, quando partecipava all’Ufficio delle Consorelle, in tempo di Natale.

       Così pensate al Talamo, al Tempio, alla Terra, alla Nube, al Vello, alla Scala di Giacobbe con gli angeli che salgono e scendono. Pensate ai testi del Cantico dei cantici, dell’innamorata, della fidanzata in cerca dello sposo che spasima, oppure dello sposo che l’abbraccia, che la ricerca, compreso anche quei particolari che hanno poi prodotto le Madonne nere, come quella di Tresivio.  Perché?   Perché  “Nigra sum, sed speciosa”. Perché la ragazza del Cantico dei cantici viveva nel deserto e il sole le aveva abbrustolito la pelle. “Sono nera, ma bella”. Ecco così giustificate le Madonne nere ma belle, perché sono le fidanzate, la sposa. Queste sono allegorie oppure libere accomodazioni.

 [6] E’ interessante saper ciò, perché si tratta di una grande lezione di fede e induce a valorizzare questa pratica, sottraendola a fumosità di stampo meramente devozionali. Sembrerà dunque una devozione, ma ha radicamento pasquale, liturgico. E con ciò siamo sul piano della celebrazione del Mistero storico salvifico.

 7 “L’esemplarità della beata Vergine che emerge dalla stessa azione liturgica, induce i fedeli a conformarsi alla Madre per meglio conformarsi al Figlio. Ma li induce pure a celebrare i misteri di Cristo con gli stessi sentimenti ed atteggiamenti con cui la Vergine fu accanto al Figlio, nella nascita e nella Epifania, nella morte e nella risurrezione…”. Dalle Premesse della Collectio Missarum (1986), n. 17. Cf. anche n. 13: “In intima comunione con la Vergine e prolungandone gli atteggiamenti cultuali, la Chiesa celebra i divini misteri nei quali è resa perfetta gloria a Dio e gli uomini sono santificati’…”.

 [8] Faccio l’esempio di qualche caso liturgico.  Non so se sapete che nel 1400 è stato praticato il “Te Deum” della Madonna.  Ma non è che uno abbia inventato un cantico mariano; semplicemente ha preso il Te Deum, l’inno trinitario che cantiamo noi, cambiando soggetto ed indirizzo, così: “Te Matrem laudamus, Te Dominam confitemur, Te aeterni Patris  praeelectam veneramur…”.  Il Padre e il Cristo, sono presenti di ‘striscio’ e ‘lateralmente’: domina il Te al femminile.    “A Te gli angeli, i cherubini, i serafini, le potestà proclamano: ave, ave,ave Maria” [invece che Sanctus, Sanctus, Sanctus].  E così via sino al termine.  Capite che l’inno per eccellenza trinitario, tramandato da questa dossologia antica, è deformato. Ma anche Maria assume un ruolo, nello stesso immaginario cristiano, che non le spetta. Parimenti nel settore delle raffigurazioni, lo sappiamo benissimo, ci sono grandezze e miserie. Nel duomo di Como, ad es.,  grandezze si scoprono negli stucchi dei due catini absidali, là dove è la risurrezione di Cristo che sovrasta l’altare del Crocifisso, e Cristo risorto fa pendant con l’assunzione della Madonna nella prospiciente abside. Lì veramente splendono il Risorto e l’Assunta, la Pasqua storica del Figlio ed il mistero della Pasqua nella Madre.  C’è una corrispondenza stupenda. E così anche nel dipinto di volta della sacristia dei mansionari, del Morazzone, troneggia l’Assunta, ma c’è la Trinità, c’è il Cristo che accoglie la madre. Queste sono grandezze.

      E miserie? Sì, anche miserie, seppure il termine risulti troppo forte (ricordate quel che ho detto all’inizio: non giudicare troppo affrettatamente! Infatti, per allora erano grandezze che ora appaiono un poco effimere, perché dettate dalla contingenza storica). Alludo ad alcuni arazzi mariani del Duomo, dal punto di vista artistico bellissimi. Ma quando sono stati fatti e perché commissionati?   Quando infuriava la lotta antiprotestante; quando il vescovo di Como non poteva raggiungere la Valtellina occupata dai Grigioni per la visita pastorale. In questa temperie polemica i buoni comaschi insistettero a far rappresentare, in funzione antiprotestante, tutte quelle scene che non erano testimoniate nella Scrittura riguardo a Maria.  I protestanti affermavano  il principio: ‘sola Scriptura’: tutto il resto è falsità. Per i cattolici le fonti della rivelazione erano la Scrittura e la tradizione, e siccome la tradizione è veicolo di fede, ecco le scene tratte dagli apocrifi, ma ‘tradizionali’. Ma si trattava di una tradizione debole, con la T minuscola, in certi casi, come in quello della Presentazione al tempio di Maria bambina, oppure della morte della Vergine con la sottolineatura dell’episodio di Tommaso incredulo: e la Madonna gli lancia giù la sua cintura come segno. Sono figure bellissime (riprodotte pure negli affreschi della sacristia maggiore e nei ceselli dell’urna Volpi) ma condizionate dall’epoca con le sue vicissitudini. Alle quali non era estraneo il motivo liturgico. Relativamente alla festa della Presentazione di Maria il papa Sisto IV l’aveva valorizzata; Pio V l’aveva abolita, e ancora, dopo poco, Clemente VIII l’aveva riproposta. In questa temperie ecco un calendario festivo instabile, entro la bufera della lotta antiprotestante.

[9] Il Messale del 1970 ha conservato il formulario di Pio IX, col testo della colletta che echeggia le parole della definizione dogmatica del 1854, ma che era già in uso essendo stato composto per Sisto IV nel 1477. La bella antifona di Introito (Esulto e gioisco…) è tratta da Is 61,10. La Messa è stata arricchita di un prefazio che si ispira a san Paolo (Ef 5, 27) e ai documenti del Vaticano II (SC n. 103 e LG 65), esaltante Maria ‘come inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia…”. Il brano del Vangelo presenta il racconto dell’Annunciazione collegando strettamente e quasi facendo ‘dipendere’ il ‘privilegio’ da quello della divina Maternità. La lettura ‘sapienziale’ che figurava in precedenza è stata sostituita da Gn 3, 9-15.20, come ‘primo annuncio della salvezza’. L’Apostolo situa la predestinazione di Maria entro il disegno eterno di Dio che coinvolge tutti nella chiamata (Ef 1, 3, 3-6. 11-12). Il Salmo Responsoriale (Sl 97) porta a contemplare ‘le meraviglie dell’amore’ divino.

 [10] Il nuovo Lezionario propone ricche linee tematiche. Maria come Madre di Dio appare nella seconda lettura e nel Vangelo. Gal 4, 4-7 (che non ricorre mai nel Lezionario domenicale) è particolarmente importante nella attestazione della funzione di Maria nella storia. Vi si noti l’impostazione trinitaria: ma l’opera dell’amore divino passa attraverso la ‘Donna’. L’evangelo (Lc 2, 16-21) e ripreso dal Natale (Messa della aurora, omesso il v. 15) e con l’aggiunta del v. 21 che testimonia pure la ‘circoncisione’ e l’imposizione del Nome ‘Gesù’, all’ottavo giorno. Altra tematica, subordinata, è quella che fa riferimento alla ‘pace’ con la prima lettura (Nm 6, 22-27), ed è ripresa al termine dell’Eucaristia con l’augurio benedicente. A questo punto si fa menzione dell’anno civile nella triplice benedizione propria.

 [11]  La riforma conciliare ha conservato questa data, sopprimendo però la dizione della Compassione dei sette dolori di Maria. Il formulario è profondamente rimaneggiato. Le letture propongono Eb 5, 5-9, e Gv 19, 25-27, insegnando a contemplare, con Maria, il Crocifisso. Non è sui contenuti dolorifici e sulla tematica consolatoria che bisogna attirare l'attenzione (l’antifona di comunione tratta da san Pietro dice anzi: Communicantes Christi passionibus, gaudete), ma sull'impe­gno del discepolato che passa dal Calvario alla Pasqua; sul dono di Cristo alla Chiesa; sul mistero del nuovo Adamo, affiancato dalla nuova Eva...

 [12] Eccessivo risultava l’ordine di recitarlo durante la messa per tutto il mese di ottobre. Ma lo stadio di decadenza liturgica era tale da far sembrare plausibile e utile tale pratica.

[13] Essa fu visitata dal Vescovo Feliciano Ninguarda ed elencata nei suoi atti della Visita.