La devozione a Maria

Il fervore dei re nell'onorare la Madre di Dio non ha certo superato, nel corso dei secoli, la devozione umile e sincera del popolo. Fin dalle origini dell'evangelizzazione, la Vergine era invocata in ogni circostanza della vita popolare, perché era al centro di ogni cuore e si aveva piena fiducia in lei; anzi, tutto si aspettava da lei. Nella festa della Natività si benediceva il grano da semina, perché la "benedizione di Dio e della Vergine lo rendesse fertile"; nello stesso giorno, la massaia metteva sotto la chioccia le uova, perché era certa che sarebbero nati tutti i pulcini. Nella solennità dell'Assunzione donne e fanciulle raccoglievano mazzi di fiori, detti "erba della Grande Signora", per farli benedire dal sacerdote e deporli all'occorrenza dentro le bare come simbolo delle opere buone che avrebbero meritato ai defunti la loro gloriosa assunzione con Maria nel Cielo. Così pure in tale giorno vi era l'uso di recitare mille Ave Maria presso qualche recente sepolcro o nella cappella del cimitero in ricordo della Dormizione della Vergine. Esse si recitavano anche nella festa della Natività in ricordo delle allegrezze della Beata Vergine e si credeva che i fedeli a questa pia pratica avrebbero ottenuto sicuramente quanto chiedevano. Nella festa dell'Immacolata Concezione le "Figlie di Maria" biancovestite, con lampade accese in mano, erano attorno all'altare di Maria durante la Messa e il canto del vespro per rinnovarle la loro promessa di devoto servizio e di sincera fedeltà. Nel XIII e XIV secolo i fedeli, al tocco della campana di ogni chiesa e di ogni comune, recitavano a sera tre Ave Maria e, dopo la vittoria di Belgrado del 1456, anche all'alba e a mezzogiorno.

La devozione del Rosario e la pietà popolare

All'inizio del XVII secolo la devozione del Rosario si diffuse in tutta la nazione; sorsero numerose confraternite del Rosario e tanto era il fervore generale che nei villaggi le famiglie si riunivano il sabato per recitarlo insieme in ginocchio e i contadini appendevano la corona al loro aratro o al manico della loro zappa. Ma la pietà popolare mariana si rivelava ancora più intensa in occasione dei lutti familiari e delle disgrazie nazionali. Le donne in processione si recavano nei cimiteri, sostavano davanti alle croci e tra le lacrime pregavano e cantavano nenie, imitando il pianto di Maria alla perdita di suo Figlio a Gerusalemme, sulla via del Calvario e ai piedi della croce. E pianto ce n'è stato, in Ungheria, nei suoi 900 anni di storia! Nella sua terra fertile e nella sua situazione geografica si è potuto stabilire un clima politico funesto dalle grandi invasioni dei Romani, degli Unni, dei Longobardi, degli Avari, dei Tartari alle occupazioni, malefiche per la fede cattolica, dei Turchi, delle armate di Hitler, dei Russi di Stalin e di Krusciov.  

"Se non lodi Maria benedicendola, sei un Ungherese degenere dal sangue avariato"

Attualmente la ripresa del libero e sereno culto mariano si presenta rapida e imponente nelle chiese, nelle case, lungo le vie con l'esposizione di statue della Vergine e con sue immagini su bandiere, medaglie, monete, francobolli e altri oggetti. Nei mesi di maggio e di ottobre il Rosario viene recitato ogni giorno in tutte le chiese e in molte famiglie. L'antica massima: "Se non lodi Maria benedicendola, sei un Ungherese degenere dal sangue avariato", ha ripreso vigore in ogni cuore di Ungherese e sta dando frutti copiosi di fede cristiana vissuta non riscontrabili nelle altre nazioni d'Europa. I santuari sono considerati e amati come la propria casa, dalla quale ci si distacca con tristezza e alla quale si ritorna con entusiasmo. 

Il miracolo ottenuto dalla “Grande Signora”

Già Sàndor Petöfi (1823-1849), l'eroico poeta-soldato, riteneva un miracolo di Dio che l'Ungheria esistesse ancora. Un miracolo ottenuto dalla "Grande Signora", che, nelle difficili situazioni, ha dominato sulla bandiera nazionale, ha sorriso dai muri fortificati dei castelli. Un simbolo è rappresentato dalla chiesa di Nostra Signora, situata nella fortezza che costituisce il centro più antico di Budapest. Nel 1541, i Turchi la trasformarono in moschea e murarono la statua della Vergine. Nel 1686, dopo lungo e sanguinoso assedio, la fortezza  fu riconquistata e fra le macerie restò in piedi solo la chiesa, anche se con" qualche danno, mentre la statua di Nostra Signora riapparve intatta al di sopra di un muro crollato. Nel 1945, i Russi, dopo sei settimane di assedio, riuscirono di nuovo a distruggere la fortezza e tutti gli edifìci adiacenti, ma la chiesa fu solo danneggiata.  

Il grande poeta Gedeon Mindszenty (1829-1877): un passo de "La Statua che parla"

Il prete-poeta, dal cuore sensibile e dall’immaginazione ardita e affascinante, fa parlare una statua dell'Immacolata, situata a Budapest, davanti all'ospedale S. Rocco. Fra i vari pensieri che sembrano precorrere il consumismo idolatrico, l'egocentrismo irrazionale e l'indifferenza religiosa dei nostri giorni, predomina quello di Maria Consolatrice degli umili e Madre affettuosa degli Ungheresi. 

 

 

 

 

 

 

"Io resto qui allorché verranno a centinaia e a migliaia...

Tu sola, non verrai, o dolce e cara Patria?

Ho pianto con te fedelmente per 800 anni nell'angoscia che aveva colpito la nazione.

O bella e gloriosa patria, paese degli Ungheresi.

Alla soglia benedetta dell’avveramento, tendi l'orecchio alla voce millenaria di tua Madre.

Sono due le condizioni che ti rendono grande: Dio e la Virtù!

Tu sarai libera... Un grande avvenire ti è destinato.

Ma, qualunque cosa accada, il mio cuore è tuo per sempre.

Che tu mi maledica o mi benedica, questo cuore è in ansia".  

La preghiera del gesuita padre  Coloman Rosty (sec. XVII)

Questa preghiera, che unisce il ricordo di Maria, "grande madre degli ungheresi",  con quello del santo re Stefano, fu composta nel secolo XVII dal gesuita padre  Coloman Rosty. I riferimenti storici riguardano sia la dominazione turca che il calvinismo, sotto cui era caduta la parte di Unghería (attuale Transilvania) rimasta libera.

 

 

 

 

 

 

 

QUEL CHE  FU  UN GIARDINO FIORITO

 Come un novello Geremia, sulla pietra sono seduto, 

nella polvere caduto dal tuo altare, o Sion diletta.

Il sangue dei Maccabei arrossa la sabbia

e lo rende simile a un giardino fiorito.

Le mie lacrime lo inondano: grande è la mia pena. 

Dal mio dolore sgorga questo canto antico:

fu già un giardino fiorito la Pannonia,

ora è coperta di rovi e spine.

Da Maria Vergine questo giardino era di acque irrorato,

ora è bagnato dalle lacrime che ella vi versa.

Rigogliosa fu la fioritura della fede cattolica,

ora l'orgoglio degli eretici imperversa.

I giorni della gioia sono finiti;

ora questo popolo è invaso dall'errore e dalle tenebre. 

La nostra speranza è in te e in Maria:

in te, nostro glorioso santo Stefano;

non siano vane le preghiere alla nostra grande Regina.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La parola del cardinale martire Jòzsef Mindszenty

È questa una chiara testimonianza della costante protezione della Beata Vergine sull'Ungheria, riconosciuta dall'intrepido cardinale martire Jòzsef Mindszenty (1892-1975) quando, il 15 agosto 1948, quattro mesi prima del suo arresto, parlò a 15 mila pellegrini nel santuario di Mariagyüd:

 

 

 

 

 

 

 

 "La nostra patria sanguina da molte ferite atroci, 

ma noi viviamo ugualmente ed è il miracolo della Madonna.

Senza di Lei è impossibile comprendere e spiegare la sopravvivenza della nazione.

La 'Grande Signora' protegge il suo regno: è il mistero della nostra esistenza.

 Non voglio dire che la vita degli altri popoli sia diretta unicamente dagli uomini;

ma conosco abbastanza la nostra storia

e so misurare le nostre tribolazioni e vicissitudini

per poter dichiarare: la Madonna ha salvato la nostra esistenza". 

 

 

 

Il  pellegrino papa Giovanni Paolo II

Nella visita compiuta da Giovanni Paolo II in Ungheria, nell'estate del 1991, ha avuto grande risalto la giornata mariana celebrata a Pécs, la culla del cristianesimo nella nazione.  Il tema della dedicazione dell'Ungheria a Maria Santissima come magna Domina hungarorum è stato al centro della celebrazione e il papa ne ha ripresi tutti i temi tradizionali, applicandoli agli eventi recenti dell'Ungheria e dell'Est europeo. Nel suo saluto al papa il primate dell'Ungheria il cardinale Lazlo Paskai ha ricordato come il 16 agosto 1988, alla fine dell'Anno Mariano e festa di santo Stefano, l'episcopato della nazione avesse ripetuto la consacrazione dell'Ungheria alla Vergine: un gesto coraggioso, dato che si era ancora sotto il regime comunista e - a detta dello stesso cardinale - provvidenziale; egli, infatti, ha aggiunto:  «Abbiamo costatato che da quel momento la situazione della Chiesa è migliorata continuamente, fino a conquistare la libertà assoluta, e per di più in forma pacifica.  Noi cattolici, che crediamo in questo fatto, riconosciamo a buon diritto l'attiva protezione della Grande Signora degli ungheresi».

 Giovanni Paolo II, nel suo incontro a Budapest, il 20 agosto 1991, con la Conferenza episcopale ungherese, ricordò il tradizionale tema della presenza attiva della Patrona Hungariae nella storia tragica del popolo contro i Turchi, gli insidiosi protestanti e gli oppressori comunisti. Nella sua  "Lettera Apostolica" del 30 maggio 1993, egli ha condiviso la gioia di tutto il popolo per la libertà felicemente recuperata ed ha affidato a Maria, "Magna Domina Hungarorum", il rinnovato impegno della nuova evangelizzazione del Paese, in vista delle prossime scadenze del primo millennio del battesimo dell'Ungheria e del secondo millennio dell'era cristiana.