La grande maggioranza della Romania è composta da cristiani ortodossi e quindi staccati da Roma.

Anticamente era abitata da popolazioni geto-daciche;  fu conquistata e abbandonata dai romani nel secolo II e  successivamente rimase esposta per quasi un millennio alle invasioni barbariche. Verso il secolo IX passò sotto Bisanzio per un atto unilaterale dell'imperatore d'Oriente. Nel secolo XIV sorsero il principato di Valacchia, nella valle del Danubio, con rapporti di vassallaggio con l'Ungheria e, circa nello stesso periodo, quello di Moldavia, a nord est. Entrambi i principati riuscirono a mantenersi indipendenti dai turchi fino alla fine del secolo XV. Sottoposta invece all'occupazione straniera, fu un'altra parte del Paese, la Transilvania: nel secolo X l'occuparono gli ungheresi e nel secolo XII anche i tedeschi.  La popolazione ungherese della Transilvania nel corso del 1500 passò quasi tutta al calvinismo, ad eccezione di certi piccoli gruppi, fra cui quello che aveva come centro spirituale il santuario mariano di Csiksomlyò.  I tedeschi invece aderirono nella quasi totalità al luteranesimo.  I turchi tuttavia non dominarono quelle regioni direttamente, ma tramite principi locali da loro imposti.  La Valacchia e la Moldavia quindi, anche se oppresse economicamente, conservarono e addirittura svilupparono la loro identità nazionale e non ebbero a subire eccessive distruzioni; perciò i monasteri, le chiese, le icone si conservarono e giunsero fino a noi. La lotta contro i turchi fu ripresa verso la fine del secolo XVI e, nel 1600, il principe valacco Michele il Valoroso riuscì a riunire per pochissimi mesi Valacchia, Transilvania e Moldavia in un unico Stato, che negli anni successivi rappresentò un modello di riferimento e un traguardo da raggiungere per i movimenti di unità nazionale. Pochi mesi dopo la proclamazione d'indipendenza la Moldavia e la Valacchia diventarono province dell'impero ottomano e alla fine del 1600, in seguito alla vittoria di Vienna sui turchi (1683) e alla liberazione dal loro giogo, questi paesi passarono a far parte, con la Transilvania, dell'impero austriaco.  Nel corso delle guerre austro-russo-turche del XVIII secolo la Russia si affermò come grande potenza e accrebbe la sua influenza sui popoli slavi; nel 1829 occupò la Moldavia e la Malacchia che però riuscirono successivamente a darsi una loro costituzione e nel 1862 si unificarono in un solo Stato.  Ne rimase esclusa la Transilvania, annessa all'Ungheria nel 1867, e solo dopo la prima guerra mondiale divene parte della Romania, che usciva vincente dal conflitto. 

Dal 1989, la libertà

Dopo la seconda guerra mondiale la Romania, che si era precedentemente schierata contro gli alleati, passò sotto l'influenza dell'Unione Sovietica, a cui fu costretta a cedere definitivamente la Bessarabia (una parte della Moldavia).  La Repubblica Popolare Romena, modellatasi inizialmente su quella sovietica, incominciò ad acquistare una sua fisionomia propria intorno al 1965, sotto Nicolae Ceausescu.  Ma alla maggiore autonomia dall'Unione Sovietica non corrispose affatto un processo di liberazione politica, e la democratizzazione del Paese prese l'avvio soltanto nel 1989, anno della rivolta popolare contro la dittatura di Ceausescu. 

Il difficile cammino della fede

La situazione della Romania è estremamente complessa e averne un'immagine d'insieme, anche dal punto di vista dei santuari mariani, non è impresa troppo facile.  Nella sola Transilvania, che poi rappresenta la culla della cultura romena, vi sono tre nazionalità con organizzazione religiosa e riti diversi: i romeni, cattolici di rito orientale (forzatamente riuniti agli ortodossi nel 1948); gli ungheresi, parte cattolici di rito latino, parte calvinisti; e i tedeschi, in prevalenza luterani, ma con una minoranza di cattolici. In Romania i santuari mariani veri e propri non sono molti perché le chiese e i monasteri sono dedicati soprattutto ai santi, ma la figura della Vergine resta sempre in primissimo piano sia nel culto pubblico sia in quello privato, specialmente attraverso le icone mariane.  I fedeli si prostrano in preghiera davanti ad esse - soprattutto davanti a quelle ritenute miracolose - le incensano e le baciano.  I Rumeni non usano tappezzare le pareti di ex voto, come succede da noi in Occidente, spesso, come segno di ringraziamento, ma  donano gli ex voto alle chiese, dopo averli fatti rivestire d'argento.

Dalla seconda guerra mondiale al comunismo

Dopo la seconda guerra mondiale il governo comunista ricongiunse forzatamente la Chiesa cattolica di rito orientale alla Chiesa ortodossa che incamerò tutti i suoi beni.  Questa iniziativa aveva una parvenza di legittimità, perché l'unione era stata richiesta da un sinodo, al quale tuttavia parteciparono pochissimi sacerdoti e quasi tutti ricattati dal Governo.  Seguirono anni di persecuzioni per vescovi e fedeli, molti dei quali morirono in prigione. La situazione dei cattolici appartenenti al rito latino o alla minoranza ungherese e tedesca era alquanto migliore, perché avevano ufficialmente il diritto di esistere, anche se condizionati da pesanti restrizioni.  I loro santuari continuarono a vivere e ad essere meta di pellegrinaggio anche per i cattolici di rito orientale e per gli stessi ortodossi e protestanti. Con il ritorno della democrazia - purtroppo molto cruento - la Chiesa cattolica orientale è potuta uscire dalla clandestinità ma vive in grande precarietà e senza strutture, perché è riuscita a riottenere solo pochissime chiese; fra queste c'è la cattedrale di Blaj con la relativa sede del metropolita: si tratta di un luogo estremamente caro al cattolicesimo rumeno e anche di un santuario mariano molto venerato.