genova4.jpg (46496 byte)ORIGINE DELLA DEVOZIONE ALLA MADONNA DELLA GUARDIA: L’APPARIZIONE

Il racconto dell’apparizione che sta all’origine del Santuario è giunto fino a noi attraverso la tradizione popolare e una «memoria» del 1530, scritta quarant’anni dopo il misterioso avvenimento, che inizia così: «Ritrovandosi circa gli anni del Signore 1490» ...Benedetto Pareto, contadino di Livellato, era salito sul monte Figogna a raccogliere fieno per le sue bestie. Avrà avuto con sé il falcetto, che ancora oggi il contadino usa per tagliare l’erba ai margini di macchie cespugliose e in luoghi ristretti e, forse, una parte del piccolo gregge. Mentre attendeva al suo lavoro, si vide all’improvviso davanti una donna che subito non gli sembrò di questo mondo, la quale, rivolgendosi a lui con tono gentile, gli disse: «Benedetto, accostati a me e non temere, che io sono la regina del cielo e la madre di Gesù Cristo». Poi chiese al Pareto, rinfrancato dal tono affabile con cui la misteriosa visitatrice gli aveva parlato, di costruire una cappella a lei dedicata. Benedetto rispose di essere pronto a fare quanto gli era stato chiesto, ma la sua povertà, la fatica, l’essere il monte Figogna lontano dai luoghi abitati... La Vergine esortò Benedetto Pareto a non temere: sarebbe stato aiutato nell’impresa e non gli sarebbe mancato nulla. L’uomo promise e la visione scomparve «andando verso il cielo con uno splendore e li parve di vedere in sua compagnia di molti angeli... ». Il Pareto, tornato al paese, raccontò l’accaduto e rivelò alla moglie la sua intenzione di dare subito avvio alla costruzione della cappella, ma la donna lo dissuase e Benedetto dimenticò la promessa. Qualche tempo dopo, mentre era a letto a causa di una caduta, il Pareto ebbe nuovamente la visione: si ricordò allora dell’impegno a costruire una cappella sul monte e si rattristò. La Vergine lo incoraggiò con queste parole: «Sarai aiutato e soccorso per questa fabbrica da tutti». Fu così che Benedetto Pareto, qualche tempo dopo, aiutato dalla popolazione di Livellato e dalla gente della Val Polcevera, subito accorsa alla notizia dell’apparizione, costruì la prima cappella, «con grandissima concorrenza di popoli e divotione... ». La mite figura di Benedetto Pareto è ricordata a Livellato nella chiesa parrocchiale con affreschi rievocanti la misteriosa «avventura» e la costruzione della prima cappella sul monte Figogna, che incombe dall’alto sulle case sparse di questo straordinario paese. La presenza di Benedetto Pareto si fa più viva, però, nella frazione dove nacque, i Pareti, e da dove la famiglia aveva derivato il cognome. Sui resti della sua casa è stata costruita una piccola cappella, in cui si trovano una statua settecentesca della Madonna e una iscrizione che recita così: IN QueSTA MACERIE/VEDI GLI AVANZI DEL-L ABITURO IN CUI SOGGIORNAVA/QUEL BENEDETTO PARETO /AL Quale APPARVE LA REGINA DEL CIELO/IL 29 AGOSTO DEL 1490/E GLIgenova6.jpg (56971 byte) DIE’ GRAZIA/ DI ERGERE IN ONORE DI LEI IL TEMPIO/ CHE TORREGGIA IN VETTA AL FIGOGNA. Accanto alla cappella piccola, una più grande, costruita nel 1902 in forma ottagonale, è stata recentemente decorata dal sacerdote Francesco Boccardo con affreschi che sono un capolavoro di freschezza e di immediatezza visiva. Nella volta è rappresentata la scena dell’apparizione: pochi tratti, vigorosi e a pennellate larghe, sintetizzano l’avvenimento. La Madonna non indica con la destra il luogo dove chiede le sia costruita una chiesa, ma tiene amorosamente il Bimbo tra le braccia. Il Pareto è rappresentato finalmente giovane e nello sfondo un grande sole rosso tramonta dietro la vetta del Figogna, quasi a indicare che gli eventi imperscrutabili non hanno precisa collocazione nel tempo. Nei riquadri a fianco dell’altare sono rappresentate la caduta dall’albero e Benedetto nel letto, il volto illuminato di taglio da un raggio di luce, dal quale il veggente sembra schermirsi col braccio sinistro. La moglie lasciato da parte il petulante senso delle cose pratiche, guarda anch’essa verso un punto misterioso da cui proviene la luce. Nei riquadri delle pareti il Boccardo ha raccontato, dividendole per piani orizzontali, le storie del santuario: i contadini della Val Polcevera mentre trasportano materiali per la costruzione, le due chiese, le case ospizio, i pellegrini del nostro tempo in viaggio verso la vetta. Giovanni Paolo II, pellegrino al santuario, domina il piano più basso del secondo riquadro; in alto alcuni portatori di Cristo e una processione verso la cappella dell’apparizione. Gli affreschi di questa cappella, per l’umanità del loro messaggio, sono tra le cose più autentiche e vere, ispirate dalla storia del santuario della Guardia a un artista del nostro tempo. Anche i luoghi attorno alle due cappelle conservano una primitiva semplicità: campi, boschi, qualche vigneto e case rurali in pietra vista, costruite su fascia, non del tutto guastate da inopportuni interventi di restauro. Alla cappella di Benedetto Pareto la parrocchia di Livellato si reca in processione solenne la prima domenica di settembre, «mentre il campanone del santuario, ricorda don Enea Lagomarsino, custode assieme ai parrocchiani di queste memorie, accompagna i nostri passi suonando a distesa». (Per recarsi a Livellato, basta seguire le indicazioni collocate al bivio lungo la salita al santuario, nella frazione San Bernardo. La cappella affrescata dal Boccardo si trova nella frazione Pareti, su una delle due strade che portano a Ceranesi. Per visitarla occorre accordarsi col parroco di Livellato).

GLI EX VOTO

I più antichi ex voto del Santuario di cui si ha memoria sono probabilmente certi quadri raffiguranti guarigioni miracolose, che i confratelli della «Compagnia» della Guardia volevano appendere in chiesa nel 1655, contro il parere dell’autorità ecclesiastica, la quale si opponeva perché «in detti quadri vi erano molte cose de’ quali non constava giuridicamente, ciò non ostante detti Confratelli l’hanno fatti portare alla (...) chiesa, o sia Capella di N.ra S.ra della Guardia e senza mia licenza, né darmene notizia l’hanno affissi in chiesa, ripartendoli per la detta Capella in qua et in là». Così dichiarava il 10 settembre 1655 il rettore della chiesa di Livellato Francesco M. Bacigalupo, dal quale dipendeva la chiesa del monte Figogna, al Vicario episcopale, testimoniando sotto giuramento sullo stato del Santuario, specialmente sulle immagini esposte in esso dai Confratelli della Compagnia. Questa testimonianza è rivelatrice di rapporti non facili fra l’autorità ecclesiastica, che procedeva con la dovuta cautela di fronte a fatti ritenuti miracolosi, e i membri della confraternita, che di lì a pochi anni verranno diffidatidal card. Durazzo a iscrivere nuovi soci, non essendo da loro osservato il regolamento su cui si reggeva il sodalizio. Ex voto sono anche i Santuari di Bavari, fondato nel 1623 in seguito alla promessa di due coniugi, e di Gavi (voto di Giacomo Bertelli durante l’assedio austriaco del 1746). Un interessante ex voto, che i visitatori del Santuario non potranno vedere fino a quando non sarà istituito un museo, in cui conservare ed esporre al pubblico cimeli, documenti, testimonianze, arredi sacri ecc., è un calice in argento del 1750, opera di argentieri genovesi, donato al Santuario dai mulattieri di Genova, impegnati al Servizio della Spagna, durante la guerra del 1747. Datati dal secolo XVIII ai giorni nostri, gli ex voto visibili oggi nel Santuario costituiscono un importante capitolo nella storia della devozione alla Madongenova13.jpg (59308 byte)na della Guardia. Radunati nel locale contiguo alla chiesa (i più antichi non sono esposti), costituiscono la testimonianza più viva e immediata della pietà dei fedeli e dell’intervento della Vergine a loro conforto. Non si può dunque ridurli solo a un momento del grande capitolo dell’antropologia culturale, essendo pur essi una testimonianza della fede, specie dei poveri, nell’aiuto e nell’intervento della Vergine. Gli ex voto del Santuario possono dividersi in tre gruppi: oggetti d’uso, fisicamente coinvolti nell’intervento miracoloso; documenti fotografici; immagini plastiche e pittoriche. Merita soffermarsi soprattutto su queste ultime, non per attribuire ad esse un interesse artistico, che non hanno, quanto piuttosto per comprendere il modo con cui esprimono il loro messaggio e la loro caratteristica di documento sulla sofferenza umana, che trova nella Madonna della Guardia il fondamento della sua speranza. Comuni a tutti gli ex voto sono infatti da una parte l’intervento a difesa dei devoti, con la Vergine quasi sempre rappresentata in alto, nell’iconografia tradizionale dell’apparizione, e dall’altra la negatività delle potenze esterne: la malattia, l’imprevedibile, i naufragi, la natura ostile, la malvagità dell’uomo. Come gli ex voto di tutti i santuari, quelli della Guardia appartengono più alla categoria artigianale che a quella artistica, essendo la motivazione estetica estranea sia all’intenzione del donatore che all’abilità dell’esecutore, Psicologia elementare e tecnica naive nelle tavolette ex voto sono quasi sempre ben coniugate. Il loro messaggio è perciò immediato e realistica è la scena dell’evento straordinario, nonostante gli autori ignorino spesso sia le leggi della prospettiva che quelle dell’anatomia e nulla sappiano della civiltà figurativa a loro contemporanea. Gli ex voto della Guardia, salvo pochi, non escono dunque dalla bottega di pittori più o meno grandi e «ufficiali», essendo i committenti per lo più poco illustri, e bastando ad essi il modesto intervento del pittore locale, capace di descrivere con diligenza e senso realistico l’intervento divino, su una tavoletta destinata a venire appesa, a perpetua memoria, alle pareti del santuario. I quadretti votivi della Guardia vanno però ben oltre queste considerazioni generali sulla «categoria», essendo anche documenti dell’umana pietà che illustrano mondi diversi, eppure legati alla multiforme realtà della storia sociale ed economica della terra ligure. Tra essi vi sono dunque gli ex voto dei marinai, che raccontano la poetica e terribile leggenda di antichi velieri, in lotta con le forze scatenate della natura; dei carrettieri e degli addetti alle attività di somaggio della Val Polcevera e della Val Bisagno, messi a dura prova da strade infide e dalle impennate degli animali da traino. Vi sono poi i protagonisti della «storia della fatica» e della pazienza, i contadini, impegnati nei lavori dei cicli stagionali. Un ex voto, ispirato al mondo rurale della Val Polcevera di fine Ottocento è particolarmente efficace per il modo con cui riassume, su un unico quadro, forse per ragioni economiche, tre momenti delle attività agricole. Nel primo assistiamo alla potatura degli alberi: è primavera e si vede dal colore verde tenero delle foglie e dell’erba; nel secondo alla raccolta dei frutti, in cui tutta la famiglia è coinvolta, anche nella disgrazia; nel terzo riquadro sono le attività connesse all’allevamento del bestiame a dominare la scena, con quell’animale caduto nella scarpata e la corda che ancora lo sostiene, grazie al punto forza dell’albero... Una piccola sequenza di vita, piena di calore e di ingenua freschezza, malgrado il momento della sciagura s’imponga con forza. Vi sono i mugnai, i fabbri, i carpentieri, i muratori, i viandanti caduti in trappole banditesche, i soldati di tutte le guerre, le categorie «borghesi», anch’esse chiamate a fare i conti con la malattia, in stanze dove i segni ostentati del benessere non riescono a coprire la tristezza dell’ora presente. Vi sono soprattutto i bambini, ieri come oggi esposti ai rischi del quotidiano e della loro scanzonata vivacità. Sullo sfondo di molti casi umani, ci sono il paesaggio ligure, la villa nobile con loggia sul poggio a solatio, le case contadine sulle fasce sorrette da muri a secco, le facciate delle case della periferia cittadina nel XIX secolo, con le insegne dei negozi, le vecchie osterie, i tram a cavalli. Si dice che la tradizione delle tavolette ex voto sia finita assieme con la cultura contadina. Può essere. Può darsi soprattutto che i modelli di vita del nostro tempo, fondati sul benessere economico a tutti i costi, sul culto della salute fisica e della personalità, sul bisogno perciò di esorcizzare in tutti i modi l’idea della disgrazia, della malattia e della morte, abbiano contribuito a decretare la fine di forme espressive semplici e spontanee. Tuttavia, tra gli ex voto del Santuario, ce n’è uno dei nostri giorni, festoso, divertito e persino ironico, forse dipinto da un ragazzino di scuola media. Rappresenta una scolaresca, che assiste atterrita al volo di un compagno nel vuoto delle scale. Il bimbo, che nella caduta è riuscito a rompere – recita la scritta – una lastra di marmo, esce incolume dall’incidente. In alto, sulla sinistra, la Madonna della Guardia e il Bimbo ridono felici. genova15.jpg (33371 byte)

LA DEVOZIONE ALLA MADONNA DELLA GUARDIA SI DIFFONDE NEL MONDO

Subito dopo l’apparizione, per iniziativa di Benedetto Pareto, dei suoi figli e dei massari, nominati a collaborare col parroco di Livellato nell’amministrazione del santuario e nella raccolta delle offerte, anche in natura, la devozione alla Guardia si diffuse in Val Polcevera, ia cui popolazione, col suo accorrere al santuario, e con l’organizzazione dei primi pellegrinaggi, contribuì a far conoscere il nuovo centro devozionale. Un documento del 1574, in cui si legge il testamento di Maria Molinari di Paravanico, è la più antica testimonianza sull’uso di «pellegrinare» al Santuario. La donna dispone per gli eredi l’obbligo di corrispondere venti soldi di Genova alla confraternita di San Martino di Paravanico «per il giorno in cui andrà in processione alla chiesa di Santa Maria del Figogna, che volgarmente si dice Guardia» e obbliga i confratelli a pregare per l’anima sua. Il Giancardi, nel 1652 descrive i pellegrini del suo tempo, in pagine dove la «via poenitentiae», di medievale ricordo, è enfatizzata con la solita prosa ridondante e barocca: «Gli angeli godono e fanno festa per la grandiosità del concorso, spesse volte fino al numero di dieci mila e più persone secolari e religiosi; alcuni disciplinandosi, altri recitando corone e rosari, altri scalzi (...) Ma in particolare vedrà il lettore arrivare le Compagnie e Confraternite intiere, due, tre e quattro insieme, con la disciplina sopra le spalle; compresovi qualcuno con catena di ferro, tutti scalzi e coperto il viso; e giunti che sono al sacro tempio umilmente s’inginocchiano sopra la porta principale, e così genuflessi camminano fino all’altare maggiore, spargendo sangue, sudore e lacrime, baciando la terra (...) La qual divotione (...) muove a pianto e compontione ogni duro cuore, per convertirsi a Dio e lasciare il peccato, facendo una buona e santa confessione, dicendo misericordia, perdono, grazia e indulgenza. (...) Il Santuario è come la mistica scala di Giacobbe, per la quale ascendono gli Angeli, portando alla Vergine le preghiere dei fedeli, e ne discendono portando ad essi le sue grazie. (... ) Vedrai cumuli di voti e quadretti,  funi e catene, lancie e spade, fere e gruccie, palle e schioppi, saette e frecce, navi, galere, et altri vascelli, et altri tanti segni di ringraziamenti, con ceri ' e fiaccole, lampade e lumiere e somiglianti pitture...». Più tardi le «Compagnie», confraternite che si riuniscono nel nome della  Madonna della Guardia, divulgarono il culto nella città e nel Genovesato. La più antica congregazione ispirata al titolo della Guardia, venne fondata, nel 1650 per iniziativa del cappuccino Francesco Giancardi, di alcuni nobili e devoti. La «Compagnia» aveva lo scopo di diffondere «in Val Polcevera e in Genova l’amore a N.S. della Guardia tra gli uomini e peccatori, pregando i pei vivi e pei morti, assistendo gli infermi, distribuendo elemosine ai poveri». La divisa consisteva in una cappa di tela azzurra, con l’immagine della Guardia sul petto. Diffusissima in Val Polcevera, nel 1654 aveva già oltre duemila iscritti, promuoveva la frequenza al Santuario, diffondeva immagini con lodi e preghiere. «Da un progetto di regolamento, scrive Domenico Cambiaso, il cui originale si conserva nell’archivio parrocchiale di Livellato, risulta che la Compagnia dovea essere governata da due Priori, un sindaco, un tabulario, e 14 consiglieri. L’elezione dei Priori dovea farsi in Rivarolo alla presenza del Capitano della Polcevera e del Curato di Livellato, e pubblicarsi nella chiesa di Livellato e in S. Maria delle Vigne, in questa ultima per comodità degli abitanti in Genova».  Sul fervore dei membri della Compagnia, annota il Giancardi: «Vengono spesse volte a torme i popoli delle Riviere, le schiere de’ cittadini, e tutti, tutti (gli abitanti) della Valle Polcevera per farsi iscrivere nella Compagnia, vaghi di partecipare delle indulgenze, d’acquistare meriti in Cielo; e pigliano l’immagine della Madonna, la narrativa (il racconto dell’apparizione n.d.r.), il libro e altre devotioni, per tenerle presso di loro, al collo, in casa e dappertutto, come scudo contro i nemici visibili et invisibili, riportandone miracoli e gratie». Nel 1653 la Compagnia aveva promosso la costruzione della strada per collegare il fondoValle al santuario, ma a causa delle divisioni interne e degli attriti col parroco di Livellato e i massari, andò incontro alle censure dell’autorità ecclesiastica, fin quando, nel 1658, il cardinale Durazzo vietò di iscrivere nuovi soci, se non fossero osservati alla lettera i Capitoli. Il provvedimento sanciva di fatto la fine della Compagnia, che a poco a poco cessò di vivere, per essere rifondata nel 1931 con decreto del cardinale Minoretti. Quasi contemporaneamente alla prima Compagnia, ne sorse una seconda nell’oratorio di Santa Maria degli Angeli dietro il coro di San Siro a Genova, con lo scopo di diffondere il culto della Madonna della Guardia nella città. I confratelli vestivano cappe bianche e prendevano parte alle processioni con gonfalone recante l’immagine venerata e avevano nell’oratorio un proprio altare. È probabile che allo zelo di questa Compagnia sia dovuta la collocazione di una statua della Madonna della Guardia in una edicola barocca, nei pressi della chiesa di San Pietro in Banchi, ancora oggi visibile, mentre l’edicola di vico Santa Maria degli Angeli, veneratissima dal popolo e ricca di voti d’argento (incamerati nel 1798 dalla Repubblica Democratica) è oggi malinconicamente vuota. Una terza Compagnia, eretta con decreto 19 marzo 1740, sorse presso l’oratorio di Santa Zita per accogliere attorno alla Madonna della Guardia gli abitanti della parte orientale della città. Altre confraternite ebbero vita fuori della città di Genova, a San Giacomo di Rupinaro presso Chiavari (1727) e a Lavagna (1794). Per merito di queste associazioni, di predicatori, di semplici fedeli, o in conseguenza di voti, il culto della Madonna della Guardia si affermò anche in luoghi lontani dal Santuario e, per iniziativa degli emigrati, nel Nuovo Mondo.  genova14.jpg (44066 byte)

ORDINE CRONOLOGICO DI FONDAZIONE DEI CENTRI DI CULTO PIÙ NOTI

1641 - Genova-Nervi, cappella di San Rocco; 1662 – Genova, oratorio di Santa Maria degli Angeli in San Siro; 1671 - Bavari, Santuario di Nostra Signora della Guardia; 1727 - Chiavari, chiesa di Rupinaro; 1727 – Passo della Bocchetta; 1747 - Gavi Ligure; 1767 – Fontanabuona, San Martino dei Monti; 1780 – Genova, chiesa di Santo Stefano; 1794 - Lavagna; 1807 – Busalla; 1823 – Pieve Ligure, Poggio di Santa Croce; 1854 - Gattorna; 1893 – Velva; 1894 – Crocefieschi; 1894 - Monte Argegna (Massa Carrara); 1912 - Pagliaro Inferiore (Val Borbera); 1916 - Rosano (Val Borbera); 1917 – Città del Vaticano; 1918 – Tortona; 1918 - Carezzano (Alessandria); 1921 – Passo della Cisa; 1937 - Levanto; 1961 – Genova, parrocchia di Largo Merlo.

Questi i santuari più noti sorti in Liguria e nelle regioni confinanti, ma cappelle ed edicole dedicate alla Madonna della Guardia sono sorte dappertutto, specie dopo la seconda guerra mondiale. Quanto alla diocesi di Genova, in tutte le chiese si trova un altare o una sacra immagine dedicati alla Madonna della Guardia. Fuori d’Italia sono conosciuti i santuari di Bernal, nel territorio di Buenos Aires, sorto nel 1870 per iniziativa di Agostino Pedemonte e divenuto il cuore della missione dei Salesiani; di Loreto di Santiago del Estero (Argentina) voluto nel 1902 da Luigi Palazzi e Luigi Lasagna; di Rosario di Santa Fé, divenuto centro di aggregazione per molti genovesi emigrati in Argentina; di Tripoli di Libia, incentivato da monsignor Malfatti e costruito nel 1926; del villaggio di Quigmeut in Alasca; di Dinajpur (India) dovuto al vescovo della missione che, essendo di origini genovesi, aveva ricevuto in dono dagli amici, nel 1929, una statua della Madonna della Guardia.