Santuario della Madonna di Loreto a Chiavenna

Guido Scaramellini

 

In località Dragonera, poche case e molti vigneti che si inerpicano sul pendio retico, all’imbocco della val Bregaglia italiana, ma ancora in Comune di Chiavenna, il 27 marzo 1618 l’arciprete Gian Pietro Paravicini benediceva la prima pietra del santuario della Madonna di Loreto. Poco più di due mesi dopo veniva benedetta, più a monte, la chiesa dedicata a san Carlo Borromeo, che fu grande devoto del santuario mariano nelle Marche.

La chiesa di Chiavenna, con le stesse dimensioni della santa casa di Loreto in provincia di Ancona, che la leggenda vuole trasportata da Nazareth sui colli marchigiani da parte degli angeli, fu benedetta il 5 luglio seguente e da allora, quando ancora l’edificio non era completato, cominciò l’afflusso di devoti al piccolo santuario tra le vigne, a cui si saliva da un suggestivo sentiero acciottolato. Quando intorno al Settecento fu rubata la corona d’argento della statua, non ci volle molto per raccogliere offerte sufficienti per farne un’altra più preziosa.

Presto la cappella, con due porte simmetriche sui lati, si dimostrò insufficiente, per cui fu racchiusa entro una chiesa più ampia, aggiungendo due cappelle ai lati e insieme, grazie al contributo di Francesco I, duca di Parma, che ad inizio Settecento notò il piccolo santuario mentre era diretto alle acque di St. Moritz, anche tre brevi navate con un nuovo altare addossato alla parete della cappella originaria. A sua volta Francesco Giani di Novate Mezzòla, vescovo di Sirmio in Ungheria, finanziò la costruzione dell’elegante e ampia scalea in facciata; il campaniletto all’estremità destra fu poi accompagnato da uno gemello simmetrico sul lato opposto.

Quanto ai mastri che lavorarono al santuario, ideato con un preciso disegno scenografico, risulta dai documenti d’archivio che nel 1681-82 e ancora nel 1693-95 lavorarono alla installazione delle colonne il mastro murario Filippo Cristoffanino, il figlio Pietro e il lapicida Pietro Bolla, tutti di Cevio in val Maggia.

Nella cappella centrale l’altare in noce, che custodisce la statua della Madonna con il bambino in legno dipinto e dorato, donata nel 1618 dall’arciprete di Chiavenna, fu eseguito da fra Giuseppe da Molteno per la chiesa di San Giuseppe, annessa al convento dei cappuccini di Chiavenna, dal quale è giunta qui dopo la soppressione nel 1810.

Nella cappella laterale sinistra, a lato di quella della Madonna, è stato collocato dopo il 1939 l’ancona in legno intagliato e dipinto, proveniente dalla chiesetta sconsacrata di Santa Rosalia in Chiavenna: risale al 1722 e rappresenta nella pala la santa fra i lebbrosi. In quella simmetrica a destra è esposto un crocefisso ligneo seicentesco, già nel convento agostiniano di San Pietro a Chiavenna, chiuso in seguito alle leggi napoleoniche agli inizi dell’Ottocento. Prima c’era al suo posto una bella pala seicentesca attribuita ai fratelli Giovan Battista e Giovan Paolo Recchi di Como con i santi Rocco, Sebastiano, Carlo Borromeo e Antonio abate; nell’angolo inferiore destro sono rappresentati a mezzo busto in un doppio portaritratto i coniugi committenti Maria Pestalozzi e Giorgio Scelter. Sia questa tela, che conserva ancora la cornice originaria in legno intagliato e dipinto, sia quella della Sacra Famiglia, acquistata per il santuario con 35 ducatoni nel 1627, anche se con caratteri ancora cinquecenteschi della scuola di Gaudenzio Ferrari, sono oggi esposte nel Museo del Tesoro di Chiavenna.

La grande tela dell’Annunciazione, che copre la parete esterna della cappella originaria e fa da sfondo all’altare maggiore in marmo, eseguito quest’ultimo nel 1796 da Gabriele Longhi di Viggiù, si deve a Giacomo Guglielmetti di Mendrisio, stabilitosi a Chiavenna, che la dipinse nel 1716 per 19 filippi. Allo stesso furono commissionate da privati, fra il 1715 e il ’17, sedici tele più piccole appese alle pareti perimetrali del santuario.

Fra gli arredi si segnala la croce processionale, in ottone sbalzato e cesellato, argentato e dorato, con formelle trilobate applicate successivamente alle estremità; fu donata nel 1625-27 dagli emigranti a Venezia, dove facevano per lo più i "luganegheri", cioè gli esercenti di botteghe per la vendita di insaccati, minutaglie di carne e altri generi alimentari di grande consumo.

Quanto ai cosiddetti pellegrini illustri, si ricorda il card. Carlo Ciceri, vescovo di Como, che durante la visita pastorale del 1692 volle salire al santuario. Era già buio, per cui, entrato nella cappella, urtò con il capo contro la lampada spenta che pendeva davanti all’altare e l’olio inzuppò il berretto, il collare e l’abito cardinalizio. "Tollerarò volontieri questo in grazia della nostra avvocata Maria", furono le sue parole, secondo la testimonianza del canonico Macolino che era presente al fatto.

La Madonna di Loreto, che nella seconda metà del Novecento ha visto sorgere sul pendio antistante varie case di abitazione e la trasformazione in carrozzabile dell’antico sentiero di accesso, rimane il santuario dei chiavennaschi, che hanno dimenticato l’antico nome della località Dragonera, preferendo quello di Loreto. Lì si recano per la festa dell’Annunciazione il 25 marzo (fino a un decennio fa si teneva alla vigilia una grande luminaria con fuochi d’artificio), per la Natività di Maria l’8 settembre e per la Madonna di Loreto il 10 dicembre, oltre che per la recita del rosario durante il mese di maggio

  

Per informazioni: tel. 0343 32117.

Bibliografia

P. BUZZETTI, Le chiese nel territorio dei comuni di Chiavenna-Mese-Prata, a cura di Guido Scaramellini, Chiavenna 1964 (Raccolta di studi storici sulla Valchiavenna, III).

GUIDO SCARAMELLINI, Quattro pittori in Valchiavenna nel sei e settecento, "Clavenna", XXI (1982).

GUIDO SCARAMELLINI, Mastri ticinesi in Valchiavenna, "Clavenna", XXIV (1985).

S. LANGÉ, G. PACCIAROTTI, Barocco alpino. Arte e architettura religiosa del Seicento: spazio e figuratività, Milano 1994 (Storia dell’arte/architettura, V).

GUIDO SCARAMELLINI, Aneddoto sul santuario di Loreto. Il cardinale Ciceri e la lampada ad olio, "La provincia di Sondrio" (quotidiano), 26 novembre 2000.