Santuario della Madonna della Sassella a Sondrio

Francesca Bormetti

 

Secondo la tradizione, il santuario della beata Vergine della Sassella, alle porte di Sondrio, fu fondato nel 932 per rispondere ad una precisa richiesta della Madonna, che sarebbe apparsa all’arciprete, facendo notare come in valle non fosse ancora stato costruito un tempio in suo onore, e avrebbe indicato con precisione il luogo, spostando nottetempo i materiali da costruzione predisposti dai fabbricieri sul fondovalle, dove si era pensato di avviare la fabbrica. La leggenda della fondazione porta quindi all’epoca medievale, ma l’edificio attuale è frutto di una ricostruzione databile grosso modo al XV secolo e, in mancanza di documenti che confermino l’antichità del santuario, la speranza è che qualche chiarimento possa venire dallo studio dei muri recentemente scoperti sotto il pavimento dell’aula, forse riferibili al primitivo edificio.

Il santuario sorge appena fuori città, su un dosso roccioso immerso fra i vigneti, lungo quella che fu la strada di valle. Composto da un’unica aula conclusa da un’abside semicircolare, l’edificio è preceduto da un portico costruito fra il 1682 e il 1685, anni ai quali risale anche la costruzione della piccola sagrestia e del campanile dalla anomala sezione pentagonale. Al centro della facciata a capanna si apre un portalino marmoreo quattrocentesco caratterizzato da un motivo a torciglione e da un bassorilievo raffigurante la Natività composto da tre pezzi visibilmente non coerenti fra loro e forse inseriti in un secondo momento entro la lunetta. È invece rimasto nascosto alla vista il grande occhio che, come ancora si può constatare perlustrando il sottotetto del portico, recava una decorazione a bande colorate come quella un tempo presente sugli archi interni. Esternamente l’edificio è quindi molto sobrio e le decorazioni si limitano a sottolineare il contorno delle strette monofore e il sottogronda; sulla fiancata verso valle compare però un affresco con San Cristoforo rappresentato, come di consuetudine, in grandi dimensioni, in modo da poter essere visto anche da lontano; il santo era infatti considerato il patrono dei viandanti.

Coperta da tre volte a crociera, l’aula risulta suddivisa in campate da archi leggermente ogivali, originariamente ornati da bande colorate rimaste nascoste al di sotto delle decorazioni rinascimentali. Tamponato il grande occhio di facciata, la navata riceve luce dalle finestrelle ai lati del portale, ma soprattutto dalle due strette monofore della parete di destra, appoggiandosi l’altra fiancata direttamente sul terreno e sulla roccia retrostante, condizione che ha creato molti problemi di umidità. Una terza monofora si apriva probabilmente in corrispondenza della terza campata, dove nel 1715 fu costruita l’unica cappella laterale, dedicata alla Madonna del Carmine.

Proprio in prossimità della cappella, il recente restauro ha scoperto e ripristinato un’antica apertura (una finestra o una porta?) da mettere forse in relazione con la curiosa struttura semicircolare in pietra (una scala?) rinvenuta sotto il pavimento e recuperata alla vista. L’edificio presenta insomma aspetti ancora oscuri riguardanti anche alcune decorazioni da poco tornate alla luce. Non si sa infatti quando e da chi sia stata dipinta la Madonna in trono col bambino di gusto rinascimentale presente su una parasta di sinistra, così come non si conosce il nome del pittore che, entro la seconda lunetta di sinistra, eseguì ad affresco una Madonna addolorata trafitta da sette spade e circondata da altrettanti tondi molto sciupati con la rappresentazione dei Dolori della Vergine. Il dipinto, interessante ma solo in parte leggibile, reca un’iscrizione con il nome dei Capitanei, signori di Sondrio, che a lungo detennero il patronato sull’edificio.

Gli affreschi di maggior valore artistico sono comunque quelli absidali, datati e attribuiti a un noto pittore di origine comasca. Nel 1511 fu infatti affidato ad Andrea De Passeris di Torno il compito di dipingere sulle pareti dell’abside alcune scene di vita della Madonna (la Nascita della Vergine, lo Sposalizio, l’Annunciazione, l’Adorazione dei pastori e la Presentazione al tempio), gli Evangelisti, busti di Sibille e Profeti, oltre a un Cristo pantocratore in posizione dominante al centro dell’emiciclo. Al De Passeris viene riferita anche la decorazione dei sottarchi, risolti con busti di Santi e Profeti, mentre si deve a un esperto maestro vetraio, forse Domenico Cazzanore di Blevio, la piccola vetrata rinascimentale raffigurante l’Adorazione di Gesù bambino sopravvissuta nella finestrella dell’abside. L’esecuzione della preziosa e rara testimonianza in valle dell’arte vetraria rinascimentale viene fatta risalire al 1520 circa sia per ragioni stilistiche, sia perché si ritiene abbia completato le opere di abbellimento condotte nel presbiterio, al cui termine, nel 1521, la chiesa veniva solennemente consacrata da Francesco Ladino, vescovo di Laodicea, su licenza del vescovo di Como. Le decorazioni dell’unica cappella laterale e la grande scena con Ester e Assuero, dipinta nella lunetta della controfacciata, si devono infine al morbegnese Giovan Pietro Romegialli, chiamato verso la fine del Settecento a restaurare gli affreschi del De Passeris.

Lo splendore dell’edificio si deve quindi soprattutto alle decorazioni pittoriche; la chiesa conserva tuttavia anche due pregevoli ancone realizzate con materiali differenti. Il marmoreo altar maggiore fu costruito dal ticinese Giovan Battista Adamo nel 1716, in sostituzione del precedente trasferito nella cappella laterale allora appena terminata. Originariamente si trovava al centro del presbiterio, ma per ragioni di stabilità nel 1764 dovette essere addossato alla parete di fondo. Ciò a discapito della scena dell’Annunciazione che rimase a lungo nascosta alla vista in quanto il vano centrale dell’altare ospitava a quel tempo una bella pala di Vincenzo De Barberis datata 1534 e raffigurante l’Adorazione dei pastori; il dipinto è però stato, in tempi recenti, collocato altrove per evitare di occultare l’affresco retrostante.

È invece in legno dipinto e dorato l’imponente ancona laterale che fu l’altar maggiore del santuario prima di essere trasferita, verso il 1716, nella nuova cappella. La sua esecuzione risale al 1683-84 e si deve all’intagliatore trentino Michele Cogoli, il quale per le statue dell’Angelo annunciante e della Vergine annunciata si avvalse del giovane Giovan Battista Zotti, che negli anni a seguire avrebbe nuovamente avuto occasione di lavorare per il rettore della Sassella.

Il santuario, vuoi per l’intitolazione mariana, vuoi per la splendida posizione, fu sempre molto caro ai Sondriesi che, all’inizio del Settecento, pensarono di dar vita a un Sacro Monte sul modello dei tanti sorti in Lombardia durante il secolo precedente. L’idea prevedeva di costruire, lungo il percorso che dalla città saliva al santuario, quindici cappelle dedicate ai Misteri del rosario. L’impresa fu avviata con grande entusiasmo, ma solo sei cappelle furono costruite, di cui due, quelle dell’Annunciazione e della Pentecoste, arredate con grandi statue lignee intagliate da Giovan Battista Zotti: l’ampliamento della collegiata di Sondrio e le spese impreviste dovute ad una terribile alluvione del Mallero obbligarono infatti la parrocchia e la comunità cittadina ad abbandonare il progetto.

Qualche anno dopo anche un altro progetto dovette essere accantonato. Essendo il santuario meta di pellegrinaggi, forse sull’esempio della fiera che si teneva annualmente intorno al santuario di Tirano, venne l’idea di istituirne una davanti alla Sassella. Al capomastro ticinese Giacomo Cometti, in quel momento attivo nel cantiere della collegiata, fu perciò chiesto di progettare una grande costruzione con magazzini e botteghe che avrebbe dovuto sorgere davanti al santuario, ma alla fine, un po’ per mancanza di fondi un po’ perché forse il progetto non convinceva, furono realizzate solo le grandi arcate che sostengono il sagrato e che inglobano un’antica torre.

  

Per informazioni: tel. 0342 213105.

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