Santuario dell’apparizione della Madonna a Tirano

Gianluigi Garbellini

 

È uno dei monumenti simbolo della valle dell’Adda, quello che, più di ogni altro, interpreta e riassume nella sua storia e nelle sue espressioni d’arte il carattere dei Valtellinesi, forti e volitivi, pratici e concreti nella vita quotidiana, ma nel contempo non insensibili ai richiami dello spirito, agli ideali e profondamente attaccati alla tradizione e alla fede dei padri. E proprio per uno slancio di fede sincera e appassionata sorse agli inizi del XVI secolo questo santuario, luogo di grazie per eccellenza per l’apparizione di Maria, e miracolo esso stesso, se si pensa al contesto storico contrassegnato da guerre, pestilenze, povertà materiale e generale disorientamento nel tramonto del ducato di Milano, al quale la Valtellina apparteneva, ormai nelle mani di un principe straniero, il re Luigi XII di Francia, e con i Grigioni, pronti a calare dai passi con il loro esercito per impadronirsi della valle dell’Adda.

 

Le origini

Fuori dal borgo di Tirano, chiuso dalle possenti mura fatte costruire pochi anni prima da Ludovico il Moro, presso il ponte sul torrente Poschiavino detto della Folla, alle prime luci del 29 settembre 1504, festa di san Michele, la Vergine apparve in un coltivo a Mario Omodei e chiese espressamente la costruzione di una chiesa in suo onore in quel luogo. Non si trattava di una remota località appartata, come per altri simili eventi prodigiosi, ma di un luogo di transito, allo sbocco della valle di Poschiavo, dove l’itinerario trasversale delle Alpi che scendeva dal Bernina si univa a quello della strada di valle, la Valeriana, e a quello, non secondario, del passo dell’Aprica: uno snodo importante quindi di passaggi obbligati ai piedi della chiesa di Santa Perpetua, pietra miliare con il suo xenodochio di questi antichissimi cammini, percorsi fin dalla protostoria, e dunque luogo privilegiato di naturale incontro tra uomini e civiltà.

Un affresco del 1513, situato all’interno del santuario sulla parete a lato della cappella dell’apparizione, raffigura l’evento prodigioso con ingenua aderenza al vero e minuta descrizione del paesaggio. I contrafforti del Bernina nella valle di Poschiavo con la chiesa di Santa Perpetua e il castello di Piattamala, lambiti dal Poschiavino, il petroso monte Masuccio e le lontane creste dell’alta valle, da cui scende l’Adda, la via Valeriana, tra le colture e poche sparute casette, con il ponte della Folla, fanno da sfondo al veggente Mario Homodei, presentato con tocchi realistici, e alla Vergine circonfusa di luce che addita il luogo su cui dovrà sorgere la chiesa a Lei dedicata.

Data la committenza celeste, il santuario non poteva essere un oratorio qualunque, ma un tempio speciale. Di questo furono subito coscienti gli abitanti di Tirano. Undici giorni dopo il prodigio la Curia vescovile di Como autorizzava il culto e la costruzione di una cappella provvisoria, mentre i maggiorenti della comunità contattavano architetti, capimastri e maestranze per dare concreta risposta alla richiesta della Vergine, della cui apparizione si erano presto convinti, forti degli eclatanti miracoli, primo tra tutti l’improvvisa guarigione del fratello del veggente, gravemente ammalato.

Il 25 marzo 1505 fu posta la prima pietra del santuario sul luogo dell’apparizione, nel terreno allo scopo espressamente donato dal cavaliere Luigi Quadrio, con solenne cerimonia alla quale partecipò tutta la popolazione di Tirano, documentata nel più minuto dettaglio dall’atto di Tommaso da Cannobio, notaio imperiale. Il Libro dei miracoli, iniziato nello stesso anno, raccoglie la registrazione dei fatti prodigiosi, convalidati anche da rogito notarile, accaduti per intercessione di Maria, chiamata con moto spontaneo dai devoti Madonna della Sanità.

I fedeli accorsero in gran numero da tutta la valle, dalle regioni limitrofe del Lario, del Bresciano e della Bergamasca, dalle vallate retiche e perfino dal Tirolo e dalla Baviera, mentre lo stesso Mario Homodei, per dar seguito all’invito della Vergine, che gli aveva raccomandato: "Va’ fin dove puoi arrivare e a tutti fa’ conoscere la mia apparizione in questo luogo e il mio volere", raggiunse remote località al di là delle Alpi, spingendosi come vuole la tradizione fin nei paesi dell’odierno Cantone di San Gallo e nel Trentino, dove concluse i suoi giorni nel 1525. Su suo esempio, altre devote persone, munite di speciale patente rilasciata dalla comunità di Tirano, toccarono diverse località in cerca di offerte per l’erigendo santuario.

Nel 1513 la chiesa nelle sue principali strutture era conclusa e poteva essere officiata. Seguì il 14 maggio 1528 la consacrazione solenne da parte del vescovo di Como Cesare Trivulzio, anche se ancora mancavano la cupola, il campanile e buona parte dell’apparato decorativo.

 

L’architettura

Progetto e direzione dei lavori - unanime ormai la critica - erano stati affidati a Tommaso Rodari originario di Maroggia, piccolo centro sul lago di Lugano, assai noto a Como per i suoi interventi nell’abside del duomo in qualità di ingegnere della Fabbrica, coadiuvato dal fratello Giacomo. Realizzò un tempio con pianta a croce latina a tre navate con transetto, che in seguito sarà coronato dalla cupola, l’abside semicircolare e una cappella laterale per rendere visibile anche all’esterno il luogo dell’apparizione.

Il carattere rinascimentale dell’architettura, che non può non far ricordare l’Amadeo e il Bramante, ispirata a purezza di linee e a spazi e volumi rigorosamente geometrici, torna subito evidente, insieme all’armonia dell’insieme che si genera da rapporti matematici tra le singole parti, sulla base del modulo aureo, largamente impiegato per imprimere all’opera l’equilibrata bellezza che contraddistingue i monumenti del primo Rinascimento. Mirabile per la sua compostezza la facciata con l’intelaiatura di lesene e cornicioni in candido marmo, il rosone e l’alto frontone con la statua della Madonna con il bambino.

La impreziosisce il portale marmoreo di impostazione classica, scolpito tra il 1530 e il 1534 da Alessandro Della Scala di Carona (lago di Lugano), capolavoro di raffinata scultura di gusto umanistico con dovizia di contenuti allegorici, di riferimenti biblici e di richiami al bene sul tema del tempo, dato alla vita di ciascuno, e dell’occasione concessa, a chi entra nel tempio, di cogliere ciò che più conta ai fini dell’eterna felicità.

Si affiancano agli intricati elementi decorativi simbolici delle colonne e delle candelabre quelli di più immediata comprensione del frontone con la scena dell’apparizione, la Pietà e le immagini dei santi Perpetua e Remigio, poste a ricordare l’antico convento con le relative due chiese di cui erano titolari, con i beni del quale, uniti da papa Leone X nel 1517 al santuario, fu possibile portare a termine i lavori di abbellimento. Né può mancare sulla sommità, sormontato dall’emblema eucaristico, lo stemma della comunità con l’immagine del patrono san Martino, a sigillo dei diritti del Comune di Tirano, proprietario della chiesa.

Meritano considerazione l’alto campanile romanico-lombardo, terminato nel 1576 e concluso in modo originale da una grande lanterna di marmo bianco con un cupolino nel 1641, e l’armoniosa cupola, costruita dall’ingegnere Pompeo Bianchi nel 1580, che con il tiburio, il transetto e l’abside crea un imponente complesso architettonico. Non meno interessanti per il loro evidente carattere rodariano, ricco di decorazioni allegoriche, i due portali laterali del 1506.

 

L’interno

È difficile percepire al primo istante l’ariosa impostazione cinquecentesca dell’interno, scandita dalle navate con le volte a crociera, dalla tonda abside, dal transetto con la cupola e, sulla sinistra, dalla cappella dell’apparizione, che pur sono contraddistinti da una fitta intelaiatura di arcate, pilastri e lesene marmorei con bassorilievi e statue di chiaro gusto rinascimentale, poiché la fitta maglia di ornamenti, attuati tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, copre ogni superficie con stucchi barocchi e riquadri dipinti, non privi di bellezza, ma che offuscano, nel loro esasperato decorativismo, l’armonia delle linee del Rinascimento.

Cuore del santuario è la cappella dell’apparizione che custodisce il lembo di terra in cui si posarono i piedi della Vergine, come espressamente ricorda la scritta della tavoletta dello scurolo dietro l’altare: "Ubi steterunt pedes Mariae". Nello stesso luogo suggestivo e raccolto, piccole statue dorate e dipinte, pregevole opera del pavese Giovan Angelo Del Majno del 1519, illustrano il prodigioso evento ed attualizzano al fedele di ogni tempo la presenza di Maria. Quadretti e cuori d’argento ex voto del passato, ricordi di incidenti e malattie e una montagna di fotografie di persone d’ogni età attestano grazie e favori e una devozione senza fine, profonda e sincera.

L’altare è un’opera di impronta neoclassica, elegante, in pregiati marmi di vario colore con tavolette in marmo di Carrara scolpite a bassorilievo recanti la scena dell’apparizione e dei miracoli avvenuti per intercessione della Madonna. Fu realizzato nel 1802 da Gabriele Longhi di Viggiù, su progetto dell’architetto Giovanni Maria Pianta di Milano, in sostituzione dell’antica ancona lignea di Giovan Angelo Del Majno del 1519, ritenuta a suo tempo una delle più belle d’Italia, rimossa dopo la spoliazione decretata nel 1798 dai funzionari della Repubblica Cisalpina, che aveva privato tutto l’altare degli ornamenti in lamine di argento, tra cui il prezioso paliotto di Federico Perego del 1682, vanto del santuario.

Rimangono dell’ancona rinascimentale le statue della Vergine, del bambino e del piccolo Giovanni Battista al posto d’onore nell’edicola marmorea profilata di oro e argento. L’effigie di Maria è un capolavoro d’arte scultorea di finissima fattura, dai tratti delicati, lumeggiati d’oro e lacche policrome, che ha incantato con la sua dolcezza materna e il suo aspetto regale tutti coloro che sono passati ai suoi piedi. Essa costituisce l’icona ufficiale della Madonna di Tirano, impressa nel cuore dei fedeli, solennemente incoronata nel 1690 per onore concesso dal Capitolo Vaticano, su personale interessamento del papa Alessandro VIII, e ornata nel 1746 di un manto in seta e oro, ex voto dei Valtellinesi durante l’imperversare della peste.

Non meno ricca si presenta la cappella maggiore, con le sue alte lesene, i suoi bassorilievi e le statue a tutto tondo degli apostoli, le cinque grandi tele a soggetto mariano dipinte da Giovan Battista Recchi tra il 1634 e il 1637, gli stalli corali di Michele Gramatica con i delicati intagli di Lorenzo Visentini del 1749, dominati dalla statua di san Michele in rame sbalzato, dorato e argentato del 1769 e, naturalmente, l’altare maggiore in marmo nero di Varenna con intarsi di vari marmi policromi, opera del marmista Giovan Battista Galli di Clivio del 1748.

Sono degne di attenzione le pale degli altari laterali, raffigurante l’una Sant’Anna con Maria e il bambino e l’altra il Transito di san Giuseppe, dipinte nel 1840 dal sondriese Antonio Caimi.

Ma è l’organo con la sua monumentale cassa l’opera più ammirata del santuario, che fu realizzata tra il 1608 e il 1617 dall’intagliatore bresciano Giuseppe Bulgarini. Sorretta da otto lisce colonne in marmo rosso d’Arzo, la cassa si sviluppa fino a lambire la volta della cupola, delimitata da due alte colonne, sul cui fusto si avviluppano tralci di vite con foglie e grappoli, sorreggenti un largo fregio ricco d’intagli e il fastigio spezzato con due volute, all’interno delle quali s’innalza l’imponente figura dell’Eterno Padre. Sulla superficie, tra putti, angeli musicanti e la fitta decorazione appare una parte delle 2200 canne dell’organo di Luigi Parietti, allievo dei celebri Serassi di Bergamo, che sostituì alla fine dell’Ottocento lo strumento secentesco dei fratelli Mearini. Di particolare valore artistico per la delicatezza dell’intaglio sono i tre pannelli del parapetto, scolpiti nel 1638 da Giovan Battista Salmoiraghi di Milano, raffiguranti la Natività, la Circoncisione di Gesù e l’Adorazione dei Magi. Un telero, raffigurante l’incoronazione di Maria nella gloria del cielo tra uno stuolo di angeli e santi, dipinto da Carlo Marni di Bormio nel 1650-1651, ricopre le canne durante il tempo di Passione.

Di fronte all’organo si trova un altro gioiello di scultura lignea, il pulpito d’autore ignoto del 1599-1600, cui si affianca la cantoria settecentesca di elegante struttura di Giovan Antonio Pianta con i riquadri pittorici di Giovan Pietro Romegialli di Morbegno.

Sopra il confessionale, sulla destra entrando dalla porta principale, è una grande tela di Cipriano Valorsa di Grosio del 1576, di particolare valore documentario in quanto rappresenta il miracolo della resurrezione dei due neonati morti senza battesimo, avvenuto il 26 marzo 1505, alla presenza di autorevoli testimoni, tra cui il notaio Luigi Della Pergola, che ne stese l’atto sottoscritto da sedici personalità civili e religiose.

Di particolare bellezza infine i credenzoni e il genuflessorio della sacrestia, intagliati nel 1705, appena conclusi i lavori di costruzione del nuovo vano che sostituiva la vecchia sacrestia al piano terra del campanile. Autore è Giovan Battista Piaz, lo stesso abile artista dei due bancaroni del presbiterio.

 

Roccaforte di fede

Baluardo della fede cattolica è stato più volte definito, non senza ragioni, il santuario di Tirano. Nei confusi anni del dilagare del protestantesimo nella valle dell’Adda favorito dai dominatori grigioni, contrassegnati da dispute teologiche, diatribe, incomprensioni ed incresciosi fatti con violenze da entrambe le parti, il santuario fu ideale centro di resistenza cattolica, grazie al fervore religioso e alla devozione spontanea e profonda dei Valtellinesi verso la madre di Dio.

La fugace visita di san Carlo Borromeo del 27 agosto 1580, che trascorse un’intera notte in preghiera ai piedi della Madonna di Tirano, è da considerare in quest’ottica. Molto preoccupato era infatti il santo cardinale della situazione religiosa nei paesi sudditi dei Grigioni, come si riscontra nella sua corrispondenza e dai suoi contatti con diverse personalità del tempo. Acuitisi i contrasti, si giunse allo scontro diretto del cosiddetto Sacro Macello, che ebbe inizio proprio a Tirano il 19 luglio 1620 e sfociò in raccapriccianti fatti di sangue in più paesi della Valtellina e nella precipitosa fuga dei Grigioni. La tradizione, accolta anche dagli storici locali, attribuisce la vittoria dei cattolici nella decisiva battaglia del Campone dell’11 settembre 1620 al prodigioso intervento dell’arcangelo san Michele, particolarmente venerato nel santuario di Tirano, la cui statua dall’alto della lanterna della cupola, volgendosi verso il campo di battaglia, avrebbe visibilmente roteato la spada di fuoco, solidale con le forze di parte cattolica.

La posizione strategica e la sua importanza come polo di attrazione destarono, nell’intricato gioco politico tra Spagna e Francia per il controllo della valle e dei suoi passi, l’interesse dei potenti verso il santuario della Madonna di Tirano, meta di inviati e di doni speciali, tra cui nel 1600 Orazio Pallavicini, governatore spagnolo di Como a nome del duca di Feria, governatore di Milano, con una cospicua somma per garantire una lampada perennemente accesa davanti al simulacro della Vergine, nel 1612 lo stesso duca di Feria e nel 1636 un messo del duca cardinale Richelieu di Francia con un ricco paramento liturgico in terzo quale dono personale.

Il re Enrico IV di Francia, da parte sua, imitato per diversi decenni dai suoi successori, mandò ogni anno una somma per la celebrazione di una messa settimanale all’altare della Madonna pro rege christianissimo.

Tra i visitatori illustri, il primo fu nel 1515 il legato a latere di Leone X, cardinale Matteo Serahone, seguito dai citati cardinale Carlo Borromeo, duca di Feria e Orazio Pallavicini, nel 1624 dal marchese di Coeuvres, generale del re di Francia, nel 1629 dal conte Enrico di Rohan, comandante dei Francesi nella campagna di Valtellina, nel 1633 da Orazio Ludovisi, fratello del papa Gregorio XV, visite queste ultime non disinteressate nei difficili anni della guerra dei Trent’anni.

In tempi migliori visitarono il santuario nel 1658 il cardinale Pietro Ottoboni, futuro papa Alessandro VIII, nel 1664 il cardinale Federico Borromeo, nunzio presso gli Svizzeri e negli anni successivi diversi alti prelati, tra cui i cardinali Ciceri, Morosini, Homodei e Querini.

Nel 1816 resero omaggio alla Madonna l’arciduca Ranieri, viceré del Lombardo Veneto, nel 1825 il principe di Metternich e nel 1838 l’imperatore d’Austria Ferdinando I con la consorte, scesi dalla nuova strada dello Stelvio.

Illustri uomini di chiesa non mancarono di onorare con la loro visita il santuario di Tirano in questo ultimo secolo: il beato Andrea Carlo Ferrari nel 1892 allora vescovo di Como, il beato Luigi Guanella devoto frequentatore, il venerabile cardinale Ildefonso Schuster nel 1946, il cardinale Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, che vi faceva sosta durante le vacanze estive, il cardinale Giovan Battista Montini, poi papa Paolo VI, che nel 1964 inviò un cero votivo in ricordo delle sue visite.

Nel 1968, infine, sostò l’onorevole Aldo Moro, allora presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana.

Rimangono da ricordare alcune date importanti per il santuario. Nel 1787 la Sacra congregazione dei riti, riconoscendo la Madonna del ponte della Folla come Patrona principalis della valle, approvò l’officiatura liturgica propria, con l’obbligo d’uso nel giorno anniversario non solo nel santuario, ma in tutta la Valtellina fino a Poschiavo.

Nel 1904 l’intera valle celebrò il 400° anniversario dell’apparizione: il simulacro della Madonna fu accompagnato in processione nella collegiata di San Martino con tre vescovi, clero e popolo. A perenne ricordo furono realizzate le artistiche vetrate del santuario.

Nel 1927, il 29 settembre, con decreto di Pio XI esso venne insignito del titolo di Basilica Romana Minore e il 20 giugno 1946 Pio XII proclamò la Madonna di Tirano patrona della Valtellina, per la speciale protezione della Vergine durante il conflitto mondiale da poco finito. I festeggiamenti furono presieduti dal metropolita cardinale Schuster di Milano, accompagnato dai vescovi lombardi e da quello di Coira. Quest’ultimo riconoscimento si deve all’istanza inoltrata dal vescovo di Como e dal Padre generale dei Servi di Maria, l’ordine preposto alla custodia del santuario dal 1923, mentre dal 1975 ne sono responsabili i Servi della carità, familiarmente conosciuti come Guanelliani.

Quanto alla proprietà, il Comune di Tirano, sulla base dei privilegi concessi nel 1513 da Leone X, ha esercitato il diritto di patronato con facoltà di eleggere i sacerdoti e di provvedere al culto. Per decisione della Santa Sede, la nomina degli addetti spetta ora al vescovo diocesano. Nel passato l’amministrazione era curata da quattro deputati scelti tra i residenti a Tirano dal consiglio comunale, il quale nominava un rettore, un sacerdote locale, coadiuvato da alcuni padri Cappuccini, tra cui il penitenziere, il custode dei sacri arredi e un canonico.

  

Per informazioni: tel. 0342 701203.

Bibliografia

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